Il consiglio editoriale del New York Times ha pubblicato uno degli articoli con cui indica la linea del giornale a proposito di questioni attuali: tema specifico il ban contro i musulmani voluto da Donald Trump e un possibile “seguito”. Il pezzo ha un attacco molto duro; d’altronde tra il presidente americano e il principale quotidiano degli Stati Uniti è in corso una fase di guerra aperta. Si definisce “primitivo” l’executive order che vieta temporaneamente (o meglio: vietava, perché attualmente è stato sospeso dalla decisione di una corte federale e poi confermato in appello) l’ingresso ai cittadini di sette Paesi a maggioranza islamica e a tutti gli immigrati. E poi si inquadra come deleteria una possibile appendice alla decisione: definire la Fratellanza musulmana come un gruppo terroristico; è un buon modo per farsi nemici milioni di musulmani in tutto il mondo, dice il Nyt. Su questo però c’è già un ordine esecutivo firmato, tra i primi, con cui si chiede al dipartimento di Stato di lavorare in tal senso.
RADICALISMO ISLAMICO
Il giornale newyorkese ha un approccio molto liberal (di sinistra potremmo definirlo, se la cosa non rientrasse dentro schematismi fuorvianti quando viene traslata nel nostro pensiero-paese) e da tempo sta calcando la mano su come le iniziative di Trump e del suo entourage più ristretto stiano costruendo una realtà cupa che rappresenta la società americana sotto assedio da “quello che loro (l’entourage suddetto, ndr) chiamano radicalismo islamico” (citando). Rovescio: i media liberali, insieme ai politici democratici, sono accusati dai conservatori di essere troppo morbidi sul fatto che molti degli attentati compiuti negli ultimi due anni siano opera – volens ut nolens – del fanatismo islamico. Lo stesso Barack Obama non usava facilmente la definizione, per non rischiarare che la cosa potesse prendere una deriva razzista.
LE DERIVE…
Davanti ai sondaggi pubblicati in questi giorni (per esempio il poll di Morning Consult/Politico) forse Obama aveva ragione? Dai dati sembra che il provvedimento che finora raccoglie più consensi tra i vari presi dall’Amministrazione sia proprio il ban, con il 55 per cento degli intervistati che approva. Sotto quest’ottica: anche designare l’Ikhwān come terroristi potrebbe avere strascichi di consenso, anche perché i legislatori repubblicani è da tempo che ci provano. Il senatore Ted Cruz e il deputato Mario Diaz-Balart (entrambi repubblicani) a metà gennaio hanno presentato un disegno di legge per la designazione, esortando il dipartimento di Stato a rispondere entro 60 giorni all’ordine del presidente; il senso dato dai legislatori è, più o meno: date parere favorevole, oppure dimostrateci il contrario (pare difficile che al Foggy Bottom trumpiano segua la seconda strada, ma non è escluso si scelga di seguire il binario più cauto). Secondo i critici del disegno di legge, Cruz e alcuni repubblicani vorrebbero colpire la Fratellanza non per ragioni di sicurezza, ma per per poi allargarsi alla rete dei gruppi islamici americani (e fare il piacere ad alcuni dei propri finanziatori).
… L’ISLAM POLITICO
Perché è così importante la decisione? La Fratellanza è la più grande organizzazione islamista internazionale (qui “islamista” sta per Islam-politico). Parte dal Medio Oriente ma le sue radici arrivano fino alle comunità musulmane di tutto il mondo. Bahrain, Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Tagikistan e Uzbekistan la considerano un’organizzazione terroristica, anche se formalmente ha rinunciato alla lotta armata da decenni (c’è anche una ricerca inglese a proposito dei legami, ormai sciolti, col terrorismo). L’ideologia che attorno agli anni Venti è nata con la Fratellanza si chiama “Islam politico” e ha uno slogan piuttosto esplicito e programmatico: “Il Corano è la nostra Costituzione”. Per lungo tempo ha rappresentato l’unica alternativa ai regimi autoritari che hanno governato alcuni paesi musulmani (per esempio, è nata in Egitto dove più tardi ha fatto da opposizione ad Hosni Mubarack). È un’organizzazione islamista che crede che l’Islam religioso debba prolungarsi sulle istituzioni statali, anche se ha accetto di seguire i processi democratici; e questo la differenzia sostanzialmente dal fanatismo violento delle giunte militari trascendenti del Califfato. Ma è una realtà complessa e articolata. In un articolo/saggio uscito nel luglio scorso sul Wall Street Journal, l’analista esperto di Medio Oriente Yaroslav Trofimov, spiegava per esempio che il linguaggio del pluralismo politico che ha portato i partiti islamisti vicini ai Fratelli a chiedere elezioni democratiche contro i regimi, aveva dietro una spinta pragmatica e non democratica: era visto come uno strumento per smantellare il sistema laico filo-occidentale (ma spesso autoritario) creatosi con la fine del colonialismo. In generale comunque gli esperti di anti-terrorismo non la considerano una minaccia per la sicurezza nazionale, spiega il Washington Post.
I PROBLEMI DELLA SCELTA DI TRUMP
Se si volesse ricostruire una qualche dietrologia alla volontà che da settimane circola tra gli uffici della Casa Bianca, occorrerebbe scindere due piani: quello strategico internazionale e quello politico interno. Dal primo: la Fratellanza per esempio fa da ideologia di fondo ad Hamas, il gruppo terroristico che governa la Striscia di Gaza e che combatte Israele: Washington sta cercando di ricucire uno strappo storico all’alleanza con Gerusalemme dovuto alle policy fredde adottate da Obama di conseguenza. Ragionamento simile può valere per l’Arabia Saudita. O ancora: i Fratelli musulmani sono oggetto di una campagna di repressione in Egitto, dove hanno sostenuto il governo regolarmente eletto che Abdel Fattah al Sisi ha rovesciato con un golpe. Ed è noto che Trump stia cercando un feeling col Cairo. Risvolti: come procederanno le relazioni con paesi come la Turchia, il Qatar, la Giordania, o il Marocco e lo Yemen, dove invece la Fratellanza è associata a partiti politici? Washington potrà mantenere relazioni, anche legalmente s’intende, con queste nazioni dopo aver inserito la Fratellanza tra i terroristi? Tra l’altro: la Fratellanza avendo varia diffusione ha diverse sfumature in gruppi e sottogruppi che la rende difficile da inquadrare univocamente come “un’organizzazione” unica (terroristico). E contemporaneamente colpirne i prolungamenti in America significherebbe bloccare diverse iniziative di svariate organizzazioni sociali musulmane. Sul piano politico interno, invece, oltre alla volontà del partito pesano per esempio anche le visioni di Stephen Bannon, lo stratega super influente che ha letture molto dure nei confronti del mondo musulmano (tagliato con l’accetta, ma nemmeno troppo distante: potenzialmente sono tutti terroristi) e che una volta definì la Fratellanza “le fondamenta del moderno terrorismo”. Fronte interno, ancora: anche Michael Flynn, il consigliere per la sicurezza nazionale con buone entrature a Riad, e Rex Tillerson, il segretario di Stato in ottimi rapporti con i russi, sarebbero sulla stessa linea.