Finito, se Dio vuole, il festival di Sanremo, e il conseguente sequestro del palinsesto della Rai, l’inimitabile Emilio Giannelli ha presentato sulla prima pagina del Corriere della Sera quello del Pd. Che potrebbe svolgersi addirittura in una sola giornata, domani, tanto per dimostrare a Carlo Conti e a Maria De Filippi, i conduttori bipartisan cui un Maurizio Crozza travestito da Sergio Mattarella ha già conferito Palazzo Chigi, che si può fare tutto anche prima, senza tirarla tanto per le lunghe.
I concorrenti del Nazareno, diciamo così, sono solo nove: Matteo Renzi, il segretario uscente del partito; Massimo D’Alema, il rottamato che vuole vendicarsi del rottamatore toscano; Enrico Rossi, il governatore toscano pure lui; Matteo Orfini, presidente uscente dell’assemblea nazionale; Andrea Orlando, ministro pro tempore della Giustizia; Pier Luigi Bersani, già segretario del partito e presidente del Consiglio pre-incaricato nell’ormai lontano 2013; Dario Franceschini, altro ex segretario del Pd e oggi ministro dei Beni Culturali, che trascorre il giorno fra gli scavi di Pompei e la notte in riunioni e incontri di corrente per alzare o abbassare, secondo le necessità, la temperatura del forno in cui si è imprudentemente messo da solo Renzi col referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale; Roberto Speranza, già capogruppo del Pd alla Camera, offertosi come David contro Golia per la guida del partito ma minacciato dall’ombra di un “Prodi giovane” evocato dai suoi stessi compagni di area o di corrente; Michele Emiliano infine, il governatore pugliese supervaccinato per la mania che ha di mangiare nella sua Bari cozze pelose generosamente offertegli da ammiratori e sudditi fra un’intervista e l’altra.
Dai concorrenti del festival della canzone piddina Giannelli ha escluso, forse per simpatia personale, vista la sua posizione chiaramente critica verso il raduno canoro del Nazareno, il presidente del Consiglio in carica, il conte Paolo Gentiloni Silverj. Che ha già troppi scompensi cardiaci di suo, in effetti, per aggiungere la fatica di un festival a quella della manovra correttiva dei conti chiestagli dalla vorace, implacabile Commissione europea di Bruxelles. per non parlare della manovrona che potrebbe attenderlo in autunno con la legge finanziaria del 2018, se Renzi non dovesse farcela a liberarlo prima dai lacci di Palazzo Chigi con le elezioni anticipate.
I nove concorrenti del festival piddino presentato nella vignetta di Giannelli sono insolitamente chiamati, per la mania che hanno da quelle parti di farlo“strano”, a cantare tutti la stessa canzone, chiamata “Saremmo”, al condizionale. In gioco sono solo le loro voci, i loro visi, le loro smorfie, la loro fisicità.
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D’altronde, anche un editorialista raffinato e consumato come Stefano Folli, che una vignetta non riuscirebbe a disegnarla neppure sotto tortura quanto è serio, ha assegnato alla direzione del Pd, prima ancora che al congresso anticipato col quale Renzi è disposto a barattare le elezioni a giugno o a settembre, come una volta gli esami di riparazione, il compito difficilissimo della ricerca dell’”identità” perduta del partito fondato meno di dieci anni fa. Se un’identità, naturalmente, l’ha mai davvero avuta quel partito liquidato già dopo qualche mese, al primo appuntamento non esaltante con le urne locali, dal solito D’Alema, quando ne era ancora segretario Walter Veltroni, un “amalgama mal riuscito” fra le scorie di quelli che erano stati i comunisti, i democristiani di sinistra, gli ambientalisti post-radicali e qualche liberale smarrito.
Ma ormai, diciamolo francamente, chi ha ormai una vera identità nella politica odierna, e non solo in Italia? Credo, nessuno.
Non penso che si possa scambiare per identità la pretesa di Beppe Grillo di votare e far votare “con la pancia e non con la testa”, perché tutto dipenderebbe dal menù di giornata. Se sono fagioli è una cosa, se sono carote, che su di me hanno effetti astringenti, è un’altra.
L’identità dei leghisti di conio salviniano sfugge a Umberto Bossi, che rimpiange i suoi raduni padani e le sue proteste contro la signora di Venezia che sventolava durante i suoi comizi il tricolore italiano, anziché “buttarlo nel cesso”, come le gridava insultandola il “senatur”. Eppure ancora oggi Bossi si consola ogni tanto andando a cena da Berlusconi, dove mangia il gelato tricolore che prepara anche a lui, come agli altri ospiti, il cuoco di casa.
La stessa identità politica di Berlusconi è ormai tutta da definire, visto che parla in nome di moderati che si stenta a riconoscere in giro, tanto sono tutti arrabbiati, per non dire di peggio, alla maniera grillina.
La destra ha perso la sua identità già ai tempi di Gianfranco Fini, che ormai sopravvive solo nei salotti televisivi dove viene generosamente ancora invitato, anche dopo che si è definito “coglione” -testuale- per non essersi accorto di chi avesse davvero acquistato a buon mercato l’appartamento di Montecarlo donato all’allora suo partito da una sfortunata nobildonna elettrice. Quello di Giorgia Meloni, che mi sembra la sorella di Matteo Salvini, oltre che dei suoi Fratelli d’Italia, è francamente il profilo più di un’aiutante di campo che di una leader.
Non parliamo infine di quell’area frastagliatissima dei centristi, che hanno un numero di sigle e di partiti inversamente proporzionale a quello degli elettori. Lo dico con tutta l’amicizia e la simpatia che merita il sempre giovane, anche se brizzolato, Pier Ferdinando Casini, che si è appena inventato un altro partitino, dopo che Leonardo Cesa gli ha portato via la sua Udc.
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E’ andata infine a farsi benedire anche la pur variegata identità dei radicali dopo l’espulsione, purtroppo confermata, di Emma Bonino dalla sede del partito e dalla radio orgogliosamente “fuori ma anche dentro il palazzo”.
Spentosi il 16 maggio dell’anno scorso, Marco Pannella è purtroppo rimorto in questi giorni. Non è che in vita avesse trattato tanto bene la sua amica Emma, ma penso che mai Marco sarebbe arrivato dove si sono avventurati i suoi successori, diciamo così, bollati, nel senso della carta bollata o intestata delle varie associazioni e sigle di quello che noi, i soliti sempliciotti, chiamavamo solitamente e simpaticamente partito radicale.