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Vi racconto le convulsioni paradossali di Pd e Movimento 5 Stelle

BEPPE GRILLO E VIRGINIA RAGGI

La notizia non sta tanto in quella che è stata giustamente definita “la polizza di Grillo” alla sindaca di Roma, rilasciatale con una lettera di sostegno diffusa dal blog del Movimento 5 Stelle dopo le otto ore di interrogatorio di Virginia Raggi da parte degli inquirenti, che la indagano per abuso d’ufficio e di falso, ma nella coincidenza fra l’iniziativa del “garante” politico della giovane prima cittadina della Capitale e l’annuncio, o la minaccia, dell’ex capo del personale capitolino, Raffaele Marra, di “parlare” agli stessi inquirenti nell’appuntamento datogli per martedì.

Par di capire, salvo ripensamenti, che sono sempre possibili da quelle parti, dove si fa presto, per esempio, a cambiare il cosiddetto codice etico per adattarlo, volenti o nolenti, alle circostanze della lotta politica esterna e interna, che Grillo abbia voluto impegnarsi a difendere la Raggi qualsiasi cosa dovesse uscire dall’interrogatorio di Raffaele Marra. Che è in carcere da metà dicembre per vicende di corruzione risalenti alla precedente amministrazione ma è chiamato a rispondere pure lui di abuso d’ufficio per la nomina del fratello Renato a capo del Dipartimento turistico del Campidoglio: nomina disposta, e poi revocata, dalla sindaca dichiaratamente inconsapevole del vantaggio economico che gli sarebbe derivato, pari a circa 20 mila euro, rispetto al compenso sino ad allora corrispostogli come vice comandante dei vigili urbani.

A parte tuttavia questi aspetti giudiziari della vicenda, sul piano politico il mistero Marra, chiamiamolo così, sta nei rapporti, più in generale, avuti dall’ex uomo di fiducia della Raggi, diventato solo dopo l’arresto “uno dei 23 mila” e rotti “dipendenti del Comune” di Roma, con il variegato movimento pentastellato. Rapporti risalenti forse già prima che egli fosse presentato alla Raggi, non ancora candidata a sindaca, da Salvatore Romeo: sì, proprio lui, l’uomo che prima di diventarne capo della segreteria aveva investito alcune decine di migliaia di euro in polizze d’assicurazione sulla propria vita ma a beneficio della inconsapevole Raggi per motivi genericamente sentimentali, poi diventati “ragioni di stima e amicizia” nelle dichiarazioni del generoso collaboratore.

Il carattere “variegato”, a dir poco, del movimento grillino procurò a Marra sin dal primo momento della sua collaborazione con la Raggi un sacco di problemi, se non li vogliamo chiamare guai. Alla fiducia della candidata e poi sindaca si contrappose prima la diffidenza e dopo l’ostilità di parecchi grillini, specie al femminile, che avvertirono in Raffaele Marra, perché già in auge durante l’amministrazione di Gianni Alemanno, un “virus” naturalmente infettivo, o il segno di un “complotto” per far vincere le elezioni capitoline al movimento grillino con una candidata destinata a procurargli un clamoroso fallimento politico.

Potremmo fare nomi e cognomi degli avversari o avversarie di Marra fra i grillini ma è prudente astenersene, come del resto ha fatto anche Grillo nella lettera di assicurazione politica inviatale via blog, limitandosi a qualche allusione. La lotta all’interno di quel movimento si è fatta così astiosa da intasare gli uffici giudiziari con denunce e minacce di querele. Sarebbe il colmo se a pagarne le spese fossimo noi giornalisti, colpevoli solo di dover seguire le vicende grilline per motivi professionali, finendo qualche volta, volenti o nolenti, per risultare o apparire seminatori di zizzanie più che di informazioni. Il fatto è –senza volere polemizzare addirittura con Papa Francesco, che se l’è presa di recente con l’informazione seminatrice appunto di “zizzanie”- che la platea e il palcoscenico delle 5 Stelle si presta al fraintendimento più di altre.

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Neppure il Pd è arrivato al grado di fraintendimento e di confusione dei grillini. Ed è tutto dire, considerando il livello di litigiosità e di confusione aggravatosi nel partito formalmente guidato ancora da Matteo Renzi, dal quale non si sa francamente se siano più quelli in procinto di andarsene a sinistra, per inseguire Massimo D’Alema, o di rimanervi. E costoro a loro volta si dividono fra chi è tentato di restare per paura di ritrovarsi con D’Alema, o per desiderio sincero di sostenere Renzi, o solo per continuare a combatterlo meglio, o di più, dall’interno.

La situazione è talmente paradossale che lo storico, per quanto pericolante, giornale della sinistra l’Unità, oltre al solito editoriale domenicale del co-fondatore e primo segretario del Pd, Walter Veltroni, preoccupato naturalmente delle sorti della sua creatura politica, ha lanciato con un titolo a tutta pagina un allarme nella illusione di riuscire a mobilitare gli animi. “Pd attento, la destra può vincere”, ha gridato la testata di Antonio Gramsci ora diretta dal vignettista Sergio Staino.

In effetti, più che dai grillini sembra che ora i sondaggi diano il partito di Renzi insidiato da quel centrodestra che sembrava sino a qualche giorno fa messo malissimo, fra un Silvio Berlusconi in attesa di ricandidabilità per grazia europea, cioè per l’accettazione di un ricorso da lui presentato ad una corte di Strasburgo, e un Matteo Salvini deciso invece, con l’appoggio di Giorgia Meloni, a contendergli la leadership da posizioni lepeniste, ma secondo a lui anche trumpiste: da Donald Trump, il nuovo presidente degli Stati Uniti.

Ora il fu centrodestra ha ripreso ad essere conteggiato come somma delle sue componenti, specie da quando nel Pd alcuni alleati o sostenitori di Renzi, come il ministro Dario Franceschini e amici, gli hanno posto come condizione per non abbandonarlo la conversione al premio di coalizione, e non più di lista, nella legge elettorale con la quale si dovrà andare alle urne. E col premio di coalizione costoro pensano, non so francamente se a torto o a ragione, di favorire nel centrodestra la resistenza di Berlusconi all’assalto di Salvini.

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Persino il navigatissimo Eugenio Scalfari, che potrebbe contendere per fedeltà elettorale al suo editore Carlo De Benedetti la tessera numero 1 del Pd, fatica a venire a capo della situazione interna del partito per cui vota. E di cui non a caso si occupa quasi per inciso, cioè con marginali passaggi, negli appuntamenti domenicali con i lettori della sua Repubblica.

Questa volta Scalfari ha consolato Renzi riconoscendogli “carisma come pochi altri oggi” e ignorando del tutto il suo principale contestatore, cioè D’Alema, ormai partito –dico io- sulla sua Freccia Rossissima verso lidi desertificati, ma lo ha sollecitato a cercare e a guadagnarsi, nella riforma di cui ha bisogno il suo partito, la collaborazione di Cuperlo e di Bersani, in ordine quindi non alfabetico. Ma Cuperlo ha appena chiesto a Renzi di dimettersi per anticipare il congresso, dove Bersani, dal canto suo, ha tutta la voglia non di confermarlo, bensì di rovesciarlo.

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