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Vi racconto le patate bollenti di Beppe Grillo, Matteo Renzi e dei Radicali

Rocco Casalino e Beppe Grillo

Il meno che si possa dire, di fronte alle polemiche scatenatesi per un suo commento e titolo su Virginia Raggi, la sindaca grillina di Roma, è che Vittorio Feltri ha fatto un’indigestione di patate. Che debbono evidentemente piacergli molto. E’ questione naturalmente di gusti, sia per chi le serve, sia per chi le mangia, sia per chi ne fa un uso a dir poco strumentale.

La politica italiana e i suoi annessi e connessi sono purtroppo spiaggiati in Italia ben prima delle balene finite in questi giorni a Farewelt Spit, nella lontana Nuova Zelanda.

E’ spiaggiata anche la memoria di Feltri e dei suoi difensori, che per giustificarsi sono risaliti al 2011 per rivendicare il merito di avere fatto indigestione di patate scrivendo delle donne che l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi invitava a cena, e dopo-cena: a cominciare dalla famosa Rubacuori, come presto fu generosamente chiamata la marocchina Ruby. Che, in verità, non sembrava facesse strage solo di cuori.

Per dare un’idea del livello al quale è ormai scesa la polemica politica italiana sarebbe bastato che il direttore editoriale di Libero e i suoi estimatori risalissero meno indietro nel tempo e ricordassero ai deputati e alle deputate grilline il poco onorevole spettacolo offerto due anni fa alla Camera dando delle zoccole e bocchinare – chiedo scusa per entrambe le parole – alle colleghe di altri partiti che rivendicavano il diritto di discutere della legge elettorale nella competente commissione, in una seduta contestata invece dai pentastellati.

Mi sembra chiaro che a questo punto nessuno ormai ha più il diritto di protestare contro nessuno. Il buon gusto e il buon senso sono andati a farsi fottere – e scusate pure questo termine – da un bel po’. E, temo, non solo da noi, in Italia, visti i venti che soffiano anche da fuori, al di qua e al di là dell’Atlantico.

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Più ancora delle patate più o meno bollenti con le quali ha voluto divertirsi Vittorio Feltri, mi hanno tuttavia colpito e amareggiato certe notizie giunte dai radicali.

Tutto mi sarei aspettato dagli orfani, più che eredi, di Marco Pannella ma non che arrivassero al punto di espellere, o comunque estromettere, secondo le cronache del Corriere della Sera, dalle sedi del partito e della loro radio persone come Emma Bonino, Riccardo Magi, Marco Cappato, Gianfranco Spadaccia e non so quanti altri. E ciò perché – hanno spiegato Maurizio Turco, Rita Bernardini e altri 15 dirigenti del movimento – “è legittimo cambiare idea ma non si può pretendere di battere il partito utilizzando i denari e gli strumenti dello stesso partito”.

Poiché i contrasti fra le varie componenti o anime del variegato mondo radicale -che non sarebbe più radicale, almeno per come siamo stati abituati a considerarlo, se non fosse appunto variegato- risalgono ai mesi e agli anni precedenti alla morte di Pannella, si può ben dire che questo epilogo della lotta in corso per la sua successione ha disatteso l’ultimo monito di Marco: “Odiare è da stronzi”.

Provate a pensare se a Matteo Renzi saltasse davvero in mente l’idea, che taluni avversari gli attribuiscono, di cacciare dal Pd tutti quelli che “con i denari e gli strumenti del partito”, per dirla con le parole di Maurizio Turco e Renata Bernardini, vogliono impadronirsene del tutto e liberarsi finalmente di un segretario ritenuto troppo ingombrante.

Renzi, dal canto suo, può consolarsi e un po’ persino invidiare il festival di Sanremo, dove sono riusciti a rottamare Al Bano e D’Alessio, versioni canore – diciamo così – di Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, anche se D’Alema con la Puglia di Al Bano un po’ c’azzecca, mentre Bersani con la Napoli di D’Alessio per niente.

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Buone notizie, una volta tanto, dall’Associazione Nazionale dei Magistrati, dove è confermato l’imminente avvicendamento alla carica di presidente, per una rotazione concordata a suo tempo, fra Piercamillo Davigo ed Eugenio Albamonte, di cui gli esperti garantiscono, spero non a torto, la moderazione.

Di Piercamillo Davigo, diventato famoso negli anni di Mani pulite come il più attrezzato culturalmente e giuridicamente del pool che indagava nella Procura di Milano sul finanziamento illegale della politica e sulla corruzione che spesso l’accompagnava, mi davano grande fastidio certe convinzioni e battute, come quella sugli innocenti perché non ancora scoperti a rubare, considerandole  in qualche modo troppo provocatorie in bocca ad un presidente dell’associazione nazionale dei magistrati.

E’ come se la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, dicesse che gli imprenditori sono perbene perché non ancora scoperti permale. Se aveste un’azienda, trattereste con una sindacalista così una vertenza di lavoro? Eppure Dio solo sa quanti indagati sono passati per le mani e le lenti di Davigo.  Che non vorrei proprio fosse qualche volta rimasto inconsapevolmente prigioniero -ripeto, inconsapevolmente-  delle sue battute nell’esercizio delle funzioni non di sindacalista ma di magistrato.


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