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Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ecco le vere tensioni fra Viola e Padoan

Pier Carlo Padoan

Che cosa succede davvero tra il governo e i vertici di Popolare di Vicenza e Veneto Banca? Ci sono per caso tensioni latenti? Ovvero: i vertici delle due banche venete si attendono qualche passo preciso da parte del Tesoro in Europa, e non solo in Europa?

Questi interrogativi li ha posti ieri Formiche.net con un articolo di Maria Benvenuto. Le domande sono sorte anche da alcuni passaggi di un recente commento del Corriere della Sera: “Il governo (unico interlocutore della Commissione) dovrebbe far sentire con forza la sua voce. Si deve far capire che in questo caso non possono essere né i tempi né le regole di una burocrazia punitiva e che tende a salvaguardare se stessa e non a risolvere i problemi, a scandire il risanamento e rilancio di infrastrutture necessarie allo sviluppo del Paese. Pena l’ingigantirsi delle crisi invece della loro risoluzione”. L’oggetto del contendere, ovviamente, è il futuro di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Sembra di capire che, secondo il Corriere, il governo dovrebbe attivarsi per evitare il ricorso all’Esm, che potrebbe rilevarsi tanto più pericoloso quanto più si consideri che l’Italia sta già rischiando la procedura di infrazione per deficit eccessivo. Anche se fra Bruxelles e Francoforte si fa a gara nell’impapocchiare procedure e tempi con non poche contraddizioni, come sottolineato da Mf/Milano Finanza.

C’è chi, ricorrendo a qualche dietrologia, fa notare che Fabrizio Viola, alla guida dei due istituti veneti, fu defenestrato da Mps per volontà dell’ex premier Matteo Renzi attraverso il titolare del Mef, Pier Carlo Padoan, dunque sarebbe fisiologica ora una non perfetta sintonia tra banchiere e ministro sul dossier delle banche venete. In verità, gli eventuali dissidi personali non hanno alcun peso, si fa notare in ambienti politici. Né le attese di Viola si appunterebbero sul peso reale del Tesoro a Bruxelles sulle partite bancarie, seppure – come ha scritto da tempo Formiche.net – gli addetti ai lavori quasi unanimemente sottolineano di certo un non incisivo attivismo del Mef nei palazzi europei sulle questioni legate alle banche italiane.

Piuttosto, si fa notare in Veneto, fonti delle due banche si aspettavano una parola di appoggio esplicito, chiaro e netto del ministero dell’Economia, ossia del titolare del dicastero, alla delicata operazione in corso sulle offerte di rimborso agli azionisti di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Operazione cui è legato il futuro, per non dire la esistenza stessa, degli istituti di credito.

È stato deciso infatti negli scorsi giorni di prolungare fino al 22 marzo il periodo per aderire alle offerte di mini-rimborso rivolte agli azionisti delle due banche venete, che sono stati praticamente azzerati con gli aumenti di capitale del 2016 che hanno permesso al fondo Atlante presieduto da Alessandro Penati di salire al controllo quasi totale di ciascuno dei due istituti. Le offerte di mini-rimborso avrebbero sino a oggi raccolto scarse adesioni, cosa che ha spinto le due banche ad allungare i tempi.

La Popolare di Vicenza subordina la validità dell’offerta all’adesione di almeno l’80% delle azioni interessate, cioè quelle acquistate negli ultimi dieci anni. Il prezzo offerto rappresenta il 14,4% del prezzo massimo raggiunto dall’azione (62,5 euro). Di più: a chi aderirà all’offerta di transazione “saranno riservate esclusive condizioni commerciali che consentiranno di beneficiare di rendimenti maggiorati” sui depositi vincolati e “di agevolazioni consistenti su alcuni prodotti e servizi bancari”, come il mutuo e il conto corrente.

Veneto Banca, invece, non ha offerto un prezzo fisso come Bpvi bensì una percentuale di rimborso, pari al 15% del valore dell’azione al momento dell’acquisto. Anche in questo caso, come in quello di Bpvi, l’offerta è rivolta a coloro che hanno acquistato i titoli nell’ultimo decennio. E anche qui, in caso di adesione, si chiede la rinuncia a qualsiasi contenzioso. Poiché tra l’1 gennaio 2007 e il 31 dicembre 2016 il valore delle azioni di Veneto Banca ha oscillato tra i 30 e i 40,25 euro ad azione, il rimborso del 15% per chi è stato azzerato è compreso tra i 4,5 e i 6 euro ad azione, da cui vanno detratti – come nel caso della Popolare di Vicenza – i dividendi nel frattempo incassati e al netto delle vendite di azioni.

Il fatto è che se le adesioni non raggiungono l’80% (al momento il livello raggiunto sarebbe del 60%) le due venete difficilmente riusciranno a disinnescare la mina delle cause legali (promosse dagli stessi azionisti e collegate alle vecchie gestioni) che nel caso più estremo potrebbero arrivare a valere 5 miliardi di euro, ossia quanto gli aumenti di capitale di nuovo indispensabili per la sopravvivenza delle due banche. Per le due banche, se questo scenario dovesse concretizzarsi, scatterebbe la messa in risoluzione con le regole del bail-in.

Ma in Veneto, e pure nelle banche, si fa questo ragionamento: se non va in porto l’operazione delle offerte di rimborso, gli istituti vanno allo scatafascio con effetti devastanti pure sul pil regionale. Le discussioni e le congetture sul ricorso al bail-in – in cui a partecipare alle perdite sarebbero, nell’ordine, azionisti, obbligazionisti (quindi non solo quelli subordinati) e correntisti che abbiano sui conti più di 100 mila euro – appaiono più teoriche che reali. Ecco perché, si bisbiglia ai piani alti dei due istituti, l’atarassia del Tesoro risulta eccentrica.


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