“Credo fermamente che non si possa prescindere dall’approvare una legge di regolamentazione delle lobby“. La netta indicazione non arriva da una delle solite voci che frequentemente chiedono il varo di una normativa in materia, bensì dal consigliere di Stato e – attualmente componente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione – Michele Corradino. Una richiesta formulata in modo inequivocabile in questa intervista rilasciata a Formiche.net, che segue di qualche giorno il grido di allarme del professore della Luiss Pier Luigi Petrillo sui rischi derivanti dal combinato disposto dell’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, del reato di traffico d’influenze illecite e della mancata regolamentazione dei gruppi di pressione.
Dunque regolamentazione delle lobby senza se e senza ma?
Assolutamente, ne sono convinto ormai dal 2008 quando guidai la commissione che elaborò il cosiddetto disegno di legge Santagata (dal nome dell’allora ministro del governo per l’attuazione del Programma Giulio Santagata, ndr), tante volte discusso, rimaneggiato e riproposto. Ma mai, ovviamente, approvato.
Perché non si è mai riusciti ad approvare una legge sulle lobby?
C’è una sorta di maledizione: è entrata più volte in Consiglio dei Ministri senza però mai uscirne come provvedimento normativo. Un’idea del perché in questi anni me la sono fatta: è la politica ad essere in fondo contraria perché preferisce non essere regolamentata nei suoi rapporti con gli imprenditori e gli interessi privati. I lobbisti invece – che svolgono questa attività in modo professionale – sono favorevoli anche perché hanno tutto l’interesse a che sia garantita la massima trasparenza.
Solo la politica – o una parte di essa – è contraria?
Da Prodi in poi tutti i governi, di tutti i colori politici, ci hanno provato. Ma senza riuscirci. I lobbisti in senso tecnico, invece, una regolamentazione la vogliono anche per distinguersi dai faccendieri, i quali – dal canto loro – hanno invece interesse a mantenere opaco qualche rapporto con la politica o l’amministrazione pubblica.
Il professor Petrillo ha chiesto al governo di intervenire con un decreto legge. E’ d’accordo?
Al di là della forma, credo si debba intervenire per una ragione fondamentale: le decisioni pubbliche – com’è probabilmente giusto che sia – non si formano in maniera pura senza alcun tipo di rapporto con l’impresa, il mercato e gli interessi privati. Al contrario le decisioni vengono assunte dopo un’inevitabile – e spesso salutare – confronto con i privati. Già accade, solo che queste relazioni rimangono spesso nell’ombra.
Con che modalità si svolgono oggi a suo avviso?
Da una parte ci sono gli imprenditori più forti e i grandi gruppi che riescono a entrare nelle stanze dei bottoni senza alcun tipo di problema. Dall’altra, invece, le imprese medio-piccole che per introdursi scelgono di affidarsi alle relazioni personali e quindi – spesso e volentieri – a faccendieri in qualche modo collegati con il sistema amministrativo o politico. Ma è arrivato il momento di uscire da questo equivoco: le scelte politico-amministrative non sono completamente estranee dal contatto con l’interesse privato. Noi dobbiamo soltanto cercare di rendere questi rapporti tracciabili e trasparenti.
Qualche passo in avanti si sta facendo?
In alcuni casi c’è stata una regolamentazione positiva dell’attività di lobbying. Penso al codice degli appalti n vigore dall’aprile 2016, il quale prescrive espressamente che ci siano rapporti tra amministrazione e impresa. Queste relazioni sono state quindi, per così dire, istituzionalizzate. Esiste addirittura una norma che prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di consultare il mercato in vista della redazione dei bandi di gara senza che ciò determini l’esclusione delle imprese dalle gare stesse.
Con quale beneficio?
Direi di carattere generale: la pubblica amministrazione per operare al meglio deve conoscere il mercato. Tuttavia è necessario che questi rapporti con le imprese – che devono essere volano di sviluppo e di competitività per tutto il Paese – non diventino il brodo di coltura di fenomeni corruttivi. Per questo deve essere approvata una legge sulle lobby con cui rendere tracciabili tutte le relazioni tra amministrazione e politica da una parte e gruppi di pressione dall’altra.
Quali sarebbero, invece, le conseguenze positive per i cittadini?
Di due tipi. Innanzitutto in un’ottica di responsabilizzazione della politica e della pubblica amministrazione e poi dal punto di vista della trasparenza: io voglio che questi rapporti siano tutti tracciati, così che i cittadini sappiano in che modo sono state prese le decisioni politiche e amministrative. E possano poi regolarsi.
Come si collega il tema della regolamentazione delle lobby al reato di traffico di influenze illecite di cui stiamo sentendo parlare così tanto in questi giorni sui giornali?
Condivido l’impostazione del professor Petrillo: la norma – di per sé già scritta male – stabilisce cosa non vada fatto senza però informarci su quale sia l’influenza lecita. Quand’è che il rapporto tra amministrazione e impresa è corretto e fisiologico? Fare chiarezza su questo aspetto consentirà di capire quali comportamenti debbano farsi rientrare nella fattispecie prevista dal reato.
I rapporti con i portatori d’interesse sono stati già riconosciuti nella regolamentazione dell’attività normativa delle Autorità indipendenti, giusto?
In alcuni casi sì, attraverso il metodo delle consultazioni. La legge, ad esempio, richiede che le linee guida Anac in materia di appalti pubblici nascano dal rapporto con i portatori d’interesse come le imprese e le associazioni di categoria. Questo tipo di regolamentazione si sta dimostrando efficace perché nasce dal contatto e dal colloquio con chi conosce il mercato e vi opera.
Che ulteriori rischi immagina possano derivare dall’attuale sistema di finanziamento della politica, oggi basato esclusivamente sui privati?
I pericoli sono connessi a tutto ciò che non è trasparente. Quello che non è tracciabile comporta automaticamente rischi. Oggi abbiamo la possibilità – anche grazie alle novità dell’informatica – di avere una trasparenza globale del sistema che consentirebbe ai cittadini di capire esattamente quello che accade. Le resistenze però rimangono fortissime.
E le fondazioni politiche?
Sono d’accordo con quanto affermato dal presidente dell’Anac Raffaele Cantone. La trasparenza naturalmente deve riguardare i partiti, ma anche tutti gli altri soggetti che si trovano comunque in una posizione satellitare rispetto a loro.