“Le banche europee? Aumentano artificialmente i livelli della profittabilità ricorrendo ai modelli di rating interni (specie se di tipo Advanced)”. A dirlo a Formiche.net è Giovanni Ferri, professore di economia all’Università romana Lumsa.
In parole povere, le banche europee barano sul loro stato di salute?
Gli IRB, modelli internal rating based, lo consentono e le banche europee ne fanno un uso massiccio, al contrario di quelle italiane che li usano molto meno. Succede questo che con l’arbitraggio regolamentare le banche di fatto riducono i Risk Weighted Assets (attivi ponderati per il rischio), e questo determina una riduzione artificiale dell’equity richiesta alla banca, di modo che il ROE (rapporto tra profitti ed equity) ne sarà meccanicamente innalzato.
E questo senza che la Vigilanza abbia nulla da ridire…
Non è che le banche possano fare quello che vogliono: c’è un processo di validazione da parte dell’Autorità di Vigilanza e le banche devono rispettare certe regole e anche dopo questa valutazione iniziale l’Autorità deve verificare nel tempo la regolarità del procedimento. Ma i dati dicono che qualche forma di arbitraggio le banche la fanno.
Ci racconti questi numeri, allora.
Facciamo un esempio: se una banca riesce a sottostimare il rischio calibrando i pesi ponderali di Basilea, dovrà accantonare meno riserve. Se un’attività ha un rating basso devo accantonare 8 euro per ogni 100 di quell’attività, cioè ponderarla al 100%. Ma se riesco ad assegnare a queste attività un rating elevato, posso coprire l’attività anziché al 100%, solo al 20%: quindi accantonare invece che 8 euro, 1,6 euro.
Ne risulta quindi un capitale più solido di quello che sarebbe con una ponderazione più elevata…
Sì, e vari studi, oltre che i nostri calcoli, confermano che nonostante il sistema non sia arbitrario ci sono indizi concreti di arbitraggio regolamentare. Le banche che rischiano di essere sottocapitalizzate tendono ad avere una minore rischiosità delle attività. Il sospetto che ci sia un’attività di calibrazione dei pesi è abbastanza fondato, tanto che il Comitato di Basilea in un rapporto pubblico rilasciato ad aprile 2016 prospettava una riduzione del ruolo dei modelli di rating interni.
Di quanto queste banche che usano quest’artificio rischiano di essere sottocapitalizzate?
Difficile quantificarlo, ma nello studio che abbiamo pubblicato sul Journal of Financial Stability abbiamo calcolato che le banche con equity tra l’8 e l 10% dell’attivo ponderato per il rischio, quindi più vicine al margine inferiore dei requisiti di Basilea, avevano una riduzione di circa il 10% delle attività ponderate per il rischio in rapporto all’indicatore di rischio rilevante. Non pochissimo.
In media la capitalizzazione effettiva potrebbe essere del 10% inferiore a quella dichiarata: con quali effetti?
L’effetto è, come dicevamo all’inizio, innanzitutto Roe artificialmente troppo alti rispetto al vero rischio sottostante: cosa che produce un’attrazione da parte degli investitori. Ed è poi possibile che per queste banche si verifichi un innalzamento del Market/Book Value (cioè della valutazione di mercato rispetto ai valori di libro) alimentando un’ulteriore retroazione positiva perché depositanti e clienti in generale tenderanno a valutare queste banche come più solide e redditizie di quanto invece sia in realtà.
Quindi a comprarle sul listino e a farle crescere in Borsa?
Esattamente. Se abbasso il denominatore del Roe, che è profitti diviso equity, e aumento così il Roe ci può essere un market to book value più elevato: il mercato stimando una profittabilità maggiore di quella reale, tenderà a scommettere sul quella banca.
Diceva che però le banche italiane fanno scarso utilizzo di questi IRB. Quindi vengono percepite meno solide delle altre?
Si tratta di un fattore di svantaggio che può aver contribuito, in termini relativi, a ridurre il loro Market/Book Value che, in effetti, è alquanto depresso in Italia. Il crollo di questi valori almeno in parte è ascrivibile al mancato utilizzo dei modelli IRB.