Quando si parla di “abusi sessuali ai danni di minori da parte di sacerdoti” è opportuno ricordarsi che i sacerdoti sono quelle persone che possono compiere alcune azioni “in persona Christi”, ovvero come se fossero Cristo, e che quando si pone mano a qualsiasi riforma di un’istituzione dall’interno della stessa emergono resistenze. Ecco allora che, quando le dimissioni della signora Marie Collins dalla Pontificia Commissione per la Tutela dell’Infanzia hanno riportato l’attenzione di molti sul gravissimo scandalo degli abusi sessuali ai danni di minori da parte di sacerdoti, l’autorevole National Catholic Reporter ha scritto: “Ciò che è necessario per mettere finalmente dietro di noi questo scandalo è un coro di voci clericali che esigano una riforma della propria cultura, che invochino che la casta clericale tutta maschile si impegni nel lavoro doloroso di comprendere quello che è diventata la loro cultura, come possa essersi così deformata da giustificare quello che alcuni hanno definito l’uccisione dell’anima dei bambini della Comunità.”
In un’intervista a Vatican Insider la signora Collins non ha voluto entrare nel dettaglio delle resistenze che avrebbe riscontrato in Curia ai lavori della Commissione. Ma su un caso specifico non ha negato di riferirsi alla Congregazione della Dottrina della Fede, dicendo: “Non voglio fare nomi di dicasteri. Ma questo sì, è un caso specifico. Se sei una vittima, un sopravvissuto e scrivi per raccontare la tua storia chiedendo aiuto e giustizia, e vedi che non ti rispondono, tu vieni nuovamente ferito. Questo si fa fatica a capirlo”. “Eppure sia Benedetto XVI sia Francesco hanno incontrato le vittime, hanno dato loro ascolto, le hanno ricevute” ha continuato a domandarle Vatican Insider. “Francesco aveva detto di sì alla nostra raccomandazione – ha risposto la Collins – Chiedevamo che si rispondesse sempre e direttamente alle singole vittime. Il Papa era d’accordo, eppure alcuni non hanno voluto seguire questa indicazione”. “Qual è la ragione del rifiuto?” chiede di nuovo l’intervistatore. “Hanno la loro procedura interna per sbrigare la corrispondenza, e questa procedura non prevede che si risponda direttamente alle vittime, un compito che spetta ai vescovi locali”, conclude Marie Collins.
A quest’affermazione ha replicato il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Gerhard Müller, che in un’intervista al Corriere della Sera ha detto: “La Commissione ha solo inoltrato una richiesta formale chiedendoci di scrivere lettere alle vittime per mostrare la vicinanza della Chiesa alla loro sofferenza. Ma quest’atto della cura pastorale è un compito dei vescovi nelle loro chiese particolari e dei superiori generali degli istituti religiosi, che sono più vicini. Se c’e una decisione del papa o la consegna di un compito specifico – ha continuato il prefetto – non ci sono resistenze. La Congregazione ha il compito di fare un processo canonico. Il contatto personale con le vittime è bene sia svolto dai pastori del luogo. E quando arriva una lettera, chiediamo sempre al vescovo che sia lui ad avere cura pastorale della vittima, chiarendole che la Congregazione farà tutto il possibile per fare giustizia. È un malinteso che questo dicastero, a Roma, possa occuparsi di tutte le diocesi e ordini religiosi nel mondo. Non si rispetterebbe il principio legittimo dell’autonomia delle diocesi e della sussidiarietà”.
Stiamo al punto posto dal cardinale, lasciamo stare il resto. Il cardinale Gerhard Müller fornendo questa risposta non prende atto di una difficoltà tanto evidente quanto oggettiva della Chiesa, comprese tante diocesi, a rapportarsi con questa dolorosa realtà. Pensare di affrontare solo con “le procedure” un problema del genere è lecito, ma una lettura tutta procedurale non è l’indizio di una valutazione “ordinaria” dell’emergenza creata da questo “scandalo”? A mio avviso le visioni “fredde” rischiano di confermare la difficoltà e di sommarsi alla tendenza ad anteporre l’idea alla realtà, per cui anche davanti agli abusi sessuali ai danni di bambini si rimane separati dalle vittime, cioè dalle persone, dalle loro storie, dai loro bisogni. In una recente omelia, a Santa Marta, papa Francesco ha detto: “La bussola del cristiano è seguire Cristo crocifisso, non un dio disincarnato, ma Dio fatto carne, che porta su di sé le piaghe dei nostri fratelli”.
Ecco che possiamo capire meglio il discorso che papa Francesco pronunciò davanti alla Curia, in occasione degli auguri natalizi del 2014, sulle possibili malattie curiali. Fu un lungo elenco di quindici malattie. E al terzo punto il papa parlò di una malattia molto grave. “C’è anche la malattia dell’impietrimento mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e la “testa dura” (cfrAt7,51); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando macchine di pratiche e non uomini di Dio (cfrEb3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono i sentimenti di Gesù (cfrFil2,5) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfrMt 22, 34-40). Essere cristiano, infatti, significa avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità”.
Il cardinale Gerhard Muller non riterrà che queste parole riguardino né la risposta che ha dato alle affermazioni della signora Collins né i suoi collaboratori alla Congregazione. E probabilmente ha ragione, ma capiremo meglio pensando al rapporto tra idea e realtà. È forse partendo da qui che si possono capire alcune differenze, anche su altre tematiche di fondo, quelle poste da Amoris Laetitia. Questo testo ha il grande merito di occuparsi della realtà fattuale, coniugale, personale. E quindi di sollecitare una vicinanza all’uomo e alla donna alle prese con la propria storia, con la propria vita, con il proprio matrimonio. Altri invece sembrano preoccuparsi dell’idea matrimoniale, e un’idea è una.
Eccoci allora al punto che pone la decisione della signora Collins: o la cultura ecclesiastica, clericale, riesce nell’impresa che invoca il National Catholic Reporter o rischierà di non vedere le sfide dell’oggi, di affievolire la propria conoscenza dei bambini, degli adulti, dei coniugi, dei preti, dei tradimenti, dei tormenti, delle speranze. La riforma di papa Francesco è vitale proprio per questo, perché per riuscire non ha bisogno di un altro Motu Proprio, o di un nuovo canone, ma ha bisogno di essere capita, condivisa, per quanto le istituzioni, quando si prospetta una riforma, siano naturalmente portate a fare delle resistenze.