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Due o tre cose che so sui giudici

MICHELE EMILIANO

La prima cosa che so sui magistrati l’ho imparata da ragazzo, quando un impiegato di una sede giudiziaria di provincia mi raccontava del giudice che, tra l’altro, si era chiuso nella propria stanza da solo con un ragazzino per interrogarlo: un comportamento, se non irregolare, sicuramente inopportuno per la serenità del testimone. Poche settimane fa, invece, un avvocato mi ha riferito di un conoscente convocato in procura: le urla, ha detto, si sentivano dal corridoio. Un’esagitazione non si sa se dovuta a volontà di o a intemperanza caratteriale.

Un elemento scontato ma importante da considerare, infatti, è che i magistrati possono avere personalità più o meno equilibrate, come tutti. Quando Silvio Berlusconi era oggetto di continue attenzioni giudiziarie, disse che i giudici erano “pazzi” (“Il giudice pazzo” è peraltro il titolato di un testo teatrale, scritto proprio da un magistrato), ma più moderatamente possiamo dire che spesso appaiono soprattutto inadeguati, indipendentemente dalle norme. Per esempio, la pm titolare dell’indagine sullo scontro ferroviario di Andria che si fa fotografare a una festa in cui l’avvocato difensore di uno dei principali indagati le bacia il piede, oppure quella titolare dell’indagine in cui è testimone Gabriel Garko che commenta sui social network l’avvenenza dell’attore. O, ancora, il presidente del Tribunale di Bologna che sempre sui social ha fatto propaganda contro il sì al referendum istituzionale, e il magistrato querelato da don Ciotti per le affermazioni sulle “associazioni nate per combattere le mafie” che tendono “a farsi mafiose loro stesse”, che si è scusato ma solo dopo un anno di attesa.

Il magistrati – come gli insegnanti, i sacerdoti, i medici… – detengono un potere molto forte e siamo poco disposti ad accettare che alcuni di loro si rivelino inadeguati al ruolo, come pure è inevitabile. La magistratura detiene poi un potere, quello giudiziario, che è un perno dello Stato ai sensi della distinzione di Montesquieu rispetto all’esecutivo e al legislativo. Certo, si tratta di una distinzione che tende ormai a sfumare: per quanto riguarda governo e parlamento si auspica anzi che sempre più condividano le loro scelte in nome della stabilità, mentre anche la porta che conduce dalla magistratura alla politica è spalancata da tempo. Il percorso è però a senso unico, poiché a un togato è costituzionalmente possibile essere incaricato come ministro o eletto parlamentare (ma non iscriversi a un partito), mentre per entrare in magistratura occorre un titolo di studio preciso e il superamento di un concorso. Già dagli anni ’90 si dibatteva pertanto se non fosse almeno il caso di imporre dimissioni definitive al giudice che entra in politica: quaestio tanto vexata che la Procura generale della Cassazione ha ottenuto un processo disciplinare contro Michele Emiliano. L’ex sindaco di Bari e attuale governatore della Puglia (protagonista anche dell’affaire Consip-Lotti) pur essendo un togato a tutti gli effetti, com’è noto, si è candidato alla segreteria del Partito democratico, dopo aver inizialmente annunciato la sua fuoriuscita.

Qui entra in ballo anche un altro aspetto: l’incoerenza umana alla quale siamo tutti soggetti, indipendentemente dal ruolo. Si pensi al sindaco di Napoli De Magistris, altro ex magistrato aspirante leader politico (nel suo caso, della galassia che si pone alla sinistra del Pd) che ha dato sostegno ai centri sociali che hanno violentemente cercato di impedire a Matteo Salvini di esercitare il proprio diritto di parlare a Napoli, un atteggiamento clamoroso per un uomo di legge. Oppure ad Antonio Ingroia, indagato per peculato dai suoi ex colleghi della procura di Palermo per le ingenti spese alberghiere e di ristorazione sostenute come amministratore di una società della Regione Siciliana, il quale si è difeso dichiarando, come un qualunque politico ‘di professione’: “L’accusa si fonda su una norma abrogata”.

Sta di fatto che di magistrati in politica ne abbiamo parecchi, e in posizioni di rilievo, dal presidente del Senato Pietro Grasso a Felice Casson e Anna Finocchiaro. Ma per le toghe un altro modo di fare oggettivamente politica mantenendo la loro funzione è emettere sentenze che interpretano la legge in modo tanto soggettivo e peculiare da apparire a loro volta come norme ex novo. Il problema, al di là dei casi più clamorosi, si inserisce in quello, cronico e gravissimo, della scarsa qualità della giustizia come pubblica amministrazione nel nostro paese. In primis, per le lunghezze dei procedimenti che talvolta portano alla prescrizione e che spesso vanificano il senso del giudizio: la psicologa infantile Anna Oliverio Ferraris, per esempio, ha evidenziato quanto assurda sia una decisione sull’adottabilità di un bambino se arriva ad anni di distanza.

Problemi cui si proverà a porre rimedio con il nuovo processo penale che dopo tre anni è passato al Senato, ma sul quale è scontro tra l’Associazione nazionale magistrati e il governo, così come è stato scontro su  processi mediatici e fughe di notizie tra il presidente di Cassazione Gianni Canzio e quello dell’Anm Pier Camillo Davigo e il ministro Andrea Orlando all’inaugurazione dell’anno giudiziario.

(vedi anche: http://www.affaritaliani.it/cronache/toghe-in-politica-ecco-le-nuove-regole-piu-limiti-il-csm-decide-su-emiliano-469550.html)


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