Le agenzie di stampa battono notizie su Ilva: “Vicino l’accordo per 3.300 lavoratori in cigs. 3.240 a Taranto e 60 a Marghera, azienda ne aveva chiesti 4.984”. Conosco bene quanti coils arrivano da Taranto sul porto di Ravenna e dove vengono consumati in Emilia-Romagna (es. Padana Tubi è il secondo produttore di tubi in Italia) e nel resto del nord-est. Per questo guardo sempre con attenzione le notizie che arrivano da Taranto.
La notizia battuta dalle agenzie è una conferma. Questo perché è noto a tanti che gli standard ambientali richiesti dalla normativa vigente portano al sito di Ilva di Taranto a produrre massimo 6 milioni di ton. Questo comporterebbe da una parte una non economicità del sito con gli attuali livelli di occupazione (12 mila unita).
Quindi la notizia battuta dalle agenzie determina una accelerazione? Per chi scrive non basta agire sul fattore occupazionale senza una politica d’innovazione. Interessante l’intervista di Mr Jindal nelle settimane scorse che propone l’uso del gas nel processo produttivo superando l’uso del carbone con effetti ambientali ed economici che possono permettere di risolvere i due problemi (ambientali ed occupazionali) in un colpo solo. E sottolineo “carbone”, la risorsa energetica più inquinante nella regione del presidentissimo Emiliano. Anzi si aggiunge anche un altro vantaggio, perché prefigura un’aumento di produzione verso i 8-10 milioni di ton. La tecnica innovativa proposta è quella del “pre-ridotto” già sperimentata in alcuni siti dell’indiana Jindal. È un clamoroso “gol” per l’industria impiantistica industriale offshore e on shore italiana ed energetica. Anche qui un duplice destino per Taranto e Italia. Perché tanto interesse da parte di Mr Jindal o Mr Mittal (Arcelor) che notoriamente non sono dei Mr No-profit? Basta aver studiato geografia.
Taranto è già un’area strategica per acciaio visto vicinanza con Africa e le potenzialità delle prospettive di approvvigionamento gas e del mercato dell’acciaio. Tutto si rafforza se guardiamo alla crescita futura a due cifre dell’Africa. Non solo l’Africa perché l’Europa rimane sempre di moda per l’acciaio. E Taranto e l’Italia sono sempre strategiche. Purtroppo però il vento protezionista sta drogando il sistema. Anzi la preoccupazione passa nell’economia reale dei trasformatori e consumatori di acciaio europei che si vedrebbero seriamente in pericolo qualora tutte le azioni antidumping avviate da UE prendano corpo.
Al momento le importazioni cinesi sono bloccate per almeno 5 anni e siamo in attesa di vedere che decisione prenderanno contro altri 5 paesi (Russia, Ucraina, Iran, Serbia e Brasile). Le prime decisioni su dazi provvisori sono attesa per aprile. Di fatto, però, l’80 % delle importazioni di coils da paesi terzi è stata momentaneamente bloccata causando, come ben sappiamo, il drammatico aumento dei prezzi da settembre ad oggi. Tutti felici? Nel breve si in particolare per pochi (4 gruppi) potentissimi produttori d’acciaio europei. Nel medio periodo? No. Nel medio ricorderei sempre le possibili dinamiche infauste che produrrebbe la chiusura delle frontiere, creare un mercato protetto della materia prima e lasciare aperto il commercio di semi prodotti o prodotti finiti significa volere la morte dell’industria metalmeccanica europea nel medio termine come l’esperienza di Caterpillar di delocalizzare parte della produzione fuori dall’Ue.
In questo contesto molto delicato torna a bomba l’evoluzione della partita ILVA, e soprattutto se e chi riuscirà ad aggiudicarsela. Oltre all’aspetto ambientale, produttivo e occupazionale occorre guardare bene di evitare il formarsi di posizioni dominanti ed egemoniche in Italia e in Europa che potrebbe condizionare il mercato sia sotto l’aspetto del market share raggiunto che, ben più grave, attraverso politiche restrittive nel pricing e nella disponibilità di prodotto. (Questo è un punto che approfondiremo nel caso in una III puntata).
Ricordando cosa sosteneva M.Keynes: “Nel lungo periodo saremo tutti morti”.