Non esiste una statistica ufficiale e la sensazione è quella che si voglia nascondere il fenomeno, ma sono migliaia le micro-aziende che si cancellano nel Paese e migrano in Stati a bassa fiscalità anche in ambito della Comunità europea, usufruendo della mancata armonizzazione del prelievo fiscale in ambito comunitario. Siamo d’accordo, comunque sul fatto che, le norme devono incoraggiare l’internazionalizzazione “concreta” e devono scoraggiare le attività “mordi e fuggi”.
Veniamo alle richieste e alle proposte concrete in campo tributario. Un primo passo è stato attuato con le modifiche introdotte dal primo governo “Renzi”, che ha abolito la tassazione Irap sul costo del lavoro. Tuttavia continua a permanere l’incidenza di una imposta che non ha nessuna ragione di esistere, se non quella di “fare cassa”.
Poi c’è da affrontare i nodo degli studi di settore. Tale strumento di accertamento basato su parametri che potrebbero – forse – avere ragione di essere in un sistema economico “normale”, con l’attuale recessione che ha stravolto tutte le regole del “prezzo di mercato”, non ha più alcun significato. Riprova ne è la percentuale delle imprese che non rientrano nella “congruità” prevista dagli studi di settore almeno negli ultimi 4-5 anni. Gli strumenti di controllo attualmente esistenti per le imprese (scontrini e ricevute fiscali in primis) sono già strumenti sufficienti per regolare il corretto adempimento degli obblighi fiscali. Il ministero dell’Economia ha percepito queste storture ed il danno che tale strumento stava causando ed ha annunciato una “innovazione metodologica” passando dagli studi di settore agli “indicatori di compliance”. Di questi si conosce ancora molto poco, ma par di capire che la vera crescita culturale è quella relativa all’utilizzo dello strumento, non più di “accertamento” ma di “compliance” con comunicazione al contribuente delle eventuali anomalie “intraviste” dalle elaborazioni fatte dallo strumento, affinché ponga in essere eventuali correzioni.
Si propone l’introduzione di due fasce di imprese al fine della norma fiscale sulla tassazione del reddito d’impresa: fino a 300mila euro – imposta sostitutiva sulla microimpresa e oltre 300mila euro – tassazione del reddito di esercizio con aliquota “flat”. Per la prima fascia: l’impresa viene tassata con una imposta sostitutiva differenziata da applicare sui ricavi: del 5% se l’impresa non ha dipendenti assunti; del 3% se ha almeno un dipendente assunto; dell’1% se ha più di un dipendente assunto; gode di adempimenti amministrativi ridotti al minimo, se non c’è l’obbligo di pubblicità del bilancio, e solo obbligo delle liquidazioni Iva; l’esclusione da qualsiasi strumento di accertamento induttivo (studi di settore, ecc.); possibilità di optare per la fascia ordinaria. Per la seconda fascia è prevista la tassazione del reddito netto (ricavi-costi) con una aliquota flat del 20%.
Va diminuito, poi, il carico fiscale sulla tassazione dei redditi personali. Si propone, in questo senso, di applicare un regime a 3 aliquote con una prima fascia esente da tassazione. Ad esempio: 0% sui redditi fino a 10mila euro; 25% per i redditi fino a 50mila euro; 37% oltre tale reddito personale. Il tutto dovrà essere armonizzato introducendo un sistema di calcolo del reddito alla “francese” sul “reddito familiare” e sulla base dei carichi di famiglia (con le opportune detrazioni rapportate alle persone considerate a carico). Una franchigia dovrà riguardare i redditi da partecipazione in società che già assolvono l’imposta sul reddito. Eliminare il sistema delle addizionali regionali e comunali. La riduzione del carico fiscale potrebbe essere introdotta gradatamente per arrivare a regime non oltre il termine del primo triennio di applicazione.
C’è poi la questione della tassazione delle rendite finanziarie. I dividendi percepiti dai soci delle società che svolgono attività di impresa subiscono una tassazione del 5% a titolo di imposta. A regime il sistema di tassazione delle rendite finanziarie delle persone fisiche dovrebbe prevedere la seguente tassazione: 20% (cedolare secca) sugli interessi e sui redditi finanziari e 12,50% sui titoli di Stato.
Vanno abolite le norme attuali sulle attività estere della piccola impresa. Con particolare riferimento alle regole relative al transfer price, prevedendo sempre la punibilità degli abusi, ma esonerando il piccolo imprenditore (qualifica legata ai volumi di affari) dai costosi e impossibili adempimenti legati alla predisposizione della documentazione “transfer price”. Ad esempio potrebbe essere previsto per questi un ruling obbligatorio “certo” e “fisso”. Inoltre rivisitazione completa della norma che prevede la presunzione della “esterovestizione”, escludendola quando la delocalizzazione dell’impresa non coincida con la cancellazione dell’impresa italiana ma una sua “espansione” in termini territoriali. Per ciò che concerne la exit-tax si chiede una maggiore chiarezza interpretativa distinguendo fra la strumentale cessazione dell’attività imprenditoriale in Italia con il trasferimento di beni materiali e immateriali all’estero, e la semplice cessazione con alienazione di beni in Italia e la creazione di una nuova impresa all’estero.