Un comando unico a Centocelle, nella periferia romana, per risparmiare e aumentare l’efficacia dell’integrazione interforze. Così il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha spiegato il progetto del “Pentagono italiano” nell’intervista rilasciata oggi su Repubblica. “Partendo dal fatto che la Difesa in Italia funziona – ha detto il ministro – ci sono stati però dei cambiamenti globali nella geopolitica, innovazioni tecniche e un calo di risorse che hanno imposto nuove sfide e la necessità di una trasformazione culturale”.
DAL LIBRO BIANCO AL COMANDO UNICO
È questo il ragionamento alla base del Libro Bianco, pubblicato ormai nell’aprile del 2015, del ddl recentemente approvato dal Consiglio dei ministri per la sua attuazione, e del decreto che riordina le carriere delle Forze armate, anch’esso con il recente ok di Palazzo Chigi. In questa complessiva riforma della Difesa italiana, rientra dunque il progetto del Pentagono italiano. “Lo stiamo già progettando”, ha ammesso la Pinotti. “Abbiamo presentato una prima richiesta all’interno del budget per le infrastrutture dalla legge di stabilità”. La nuova struttura, come il Pentagono Usa, riunirà i vertici di tutte le Forze armate ma non sorgerà a Washington, bensì a Centocelle, nella zona sud est di Roma dove già si trovano la Direzione generale degli armamenti (Dga) e il Comando operativo interforze (Coi) con uno staff complessivo di 1.500 persone. “Non c’è dubbio che stare tutti insieme consente di pensarsi come un insieme e avere quelle continue relazioni che devono esistere tra le Forze armate”, ha aggiunto Pinotti.
LA RIFORMA DEL PERSONALE
La nuova struttura sarà accompagnata dalla riduzione del personale dipendente. Si prevede di portare gli organici da 190mila unità a 150mila entro il 2024 per quanto concerne i militari, come noto da tempo. I civili passeranno invece dalle attuali 30mila unità a 20mila. Ciò riguarderà anche gli ufficiali: “Credo che oggi sia richiesto che il numero dei generali sia conseguente alle necessità dei comandi e non viceversa”, ha affermato il ministro riferendosi alla proliferazione di comandi spesso creati in virtù degli scatti di carriera.
Nel disegno di legge che il governo ha inviato alle Camere alcuni giorni fa, si prevede inoltre il ribilanciamento della formula professionale, con un potenziamento del modello a tempo determinato rispetto a quello indeterminato. “Oggi – spiegava la Pinotti illustrando i punti cardine del ddl – abbiamo l’82% dei dipendenti della Difesa con contratto a tempo indeterminato e questo produce drammatici effetti sull’invecchiamento del personale che ha un’età media di 38 anni”. Il riferimento, rispetto all’iniziale rapporto 50-50, è un modello che prevede un 60% a tempo indeterminato contro il 40 a tempo determinato, con formule che consentano il passaggio a lavori differenti dopo l’esperienza militare in forma prefissata. “Abbiamo bisogno di soldati giovani ma non volgiamo creare un precariato militare”, ha rimarcato il ministro nell’intervista a Repubblica.
Per il ministero, la novità al vertice riguarda il segretario generale della Difesa e direttore nazionale armamenti, carica attualmente ricoperta dal generale Carlo Magrassi. I due incarichi potrebbero infatti venire divisi. “Un domani ci sarà un direttore nazionale armamenti e responsabile logistica”, aveva detto il ministro Pinotti specificando che, come già previsto nella legge 25 del 1997 di riforma dei vertici, tale incarico potrà essere assegnato anche a un civile.
IL TEMA DELLA SPESA
A spingere verso l’efficientamento delle Forze armate, contribuisce anche un contesto internazionale particolarmente complesso, in cui, all’arco di crisi che preme sul Mediterraneo, si sommano le richieste americane per una maggiore assunzione di responsabilità da parte degli alleati europei. Il problema delle risorse e degli investimenti resta un punto particolarmente vulnerabile nel nostro sistema di sicurezza e difesa. Con l’1,18% del Pil destinato alla Difesa nel 2016 (circa 23 miliardi di euro), l’Italia è lontana dalla soglia del 2% stabilita in ambito Nato. “C’è stato un bilancio della difesa con tagli consistenti”, ha ammesso il ministro nel recente intervento alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Negli ultimi anni però, “c’è stata una inversione di tendenza”. Siamo ancora “lontani dal 2%, ma quella italiana è una spesa molto qualificata. Siamo tra le nazioni più impegnate nella Nato e nell’Unione Europea e i primi contributori europei nelle missioni dell’Onu. Stiamo chiedendo quindi all’Alleanza di introdurre anche una valutazione sul livello qualitativo e non solo su quello quantitativo. Noi stiamo spendendo bene le risorse, facendo attenzione alla qualità degli interventi”.