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Quanto costano le promesse elettorali di Martin Schulz in Germania

Schulz, germania, Saarland

Più lavoro, meno disoccupazione giovanile, retribuzioni e pensioni più alte. Le riforme dello Stato sociale introdotte nel 2005 e che nel settembre dello stesso anno costarono il posto di cancelliere al socialdemocratico Gerhard Schröder sono state la salutare spinta per invertire il corso, per far sì che il grande malato d’Europa, come allora veniva descritta la Germania, tornasse a esserne la locomotiva.

Un giudizio condiviso quasi unanimemente, salvo da una parte del partito di Schröder. L’Agenda 2010, così viene chiamato il pacchetto di riforme del 2005, è costata una scissione (la Sinistra è nata nel 2007), ha visto la defezione di Oskar Lafontaine, una delle colonne dell’Spd, e soprattutto è costata voti. Dal 38,5 per cento del 2002, un risultato che permise a Schröder di essere rieletto per la seconda volta cancelliere, si è passati alla sconfitta 2005 con il 34,2 per cento e il passaggio del timone ad Angela Merkel inizia il suo primo mandato.

Poi è una discesa sempre più preoccupante: nel 2009, l’Spd ottiene con il 23 per cento, il peggior risultato della sua storia e nel 2013 va meglio solo di un paio di punti, il 25,7 per cento, mentre l’Unione insieme, grazie al traino di Merkel, con il 41,5 per cento non ottiene per un pelo la maggioranza dei seggi.

Che qualcosa non abbia funzionato nella riforma l’ha dimostrato non solo l’ascesa della Linke, nel 2009 aveva ottenuto l’11,9 per cento dei voti (nel 2013 era però già scesa all’8,9) ma anche la nascita del partito nazional populista Alternative für Deutschland. È vero che l’Afd ha fatto fino a oggi man bassa di voti in primo luogo cavalcando il tema dei profughi, ma dietro a questa avversione c’è, e nemmeno in modo tanto nascosto, un profondo risentimento. Frasi come “per i profughi ci sono soldi in quantità, per noi tedeschi no” ne sono – al di là che l’affermazione corrisponda alla verità – una prova.

Ora l’ex presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico Martin Schulz, sfidante di Angela Merkel nelle elezioni del nuovo Bundestag il 24 settembre, promette di voler ovviare ad alcune storture ed errori dell’Agenda. Una modifica è già stata introdotta tempo fa, riportando l’età pensionabile dai 67 anni previsti dall’Agenda ai 63 anni. Tra le promesse più importanti c’è quella relativa all’assegno di disoccupazione che dovrebbe passare per tutti da 12 a 24 mesi. Un provvedimento che eviterebbe a chi ha lavorato una vita di finire nel giro di poco tempo tra coloro che percepiscono Hartz IV, l’assegno di sussistenza, previsto per i disoccupati di lunga data, per persone che non hanno mai lavorato, o persone che guadagnano troppo poco. Attualmente sono 1 milione coloro che percepiscono l’assegno di disoccupazione e 6 milioni (tra questi 2 milioni di bambini) che dipendono da Hartz IV.

A quanto pare una parte dei tedeschi è disposta a credergli sulla parola, il che ha fatto volare il partito nei sondaggi, passato dal 20 per cento dove ormai era inchiodato da tempo a uno strepitoso 33 per cento, dunque al pari con l’Unione (cioè la Cdu di Angela Merkel e la Csu del bavarese Horst Seehofer).

Già, ma quanto costerebbero le promesse di Schulz? A tentare di trasformarle in cifre, cioè costi, ci ha provato il settimanale Focus. Ecco cosa ne è uscito.

CONGELAMENTO COEFFICIENTE CALCOLO PENSIONI

Martin Schulz vuole bloccare un’ulteriore diminuzione degli assegni pensionistici. Attualmente la pensione è pari al 47,9 per cento dello stipendio medio percepito nel corso della vita lavorativa. L’Agenda 2010 prevedeva di scendere gradualmente fino al 40 per cento. Secondo quanto calcolato dal ministero per il Lavoro, una simile riforma applicata nel 2016 costerebbe alle casse dello Stato 27,8 miliardi di euro all’anno. Fino al 2029 vorrebbe dire un costo aggiuntivo complessivo di 333,6 miliardi di euro. Secondo l’Istituto dell’economia tedesca di Colonia (IW) sarebbe ancora più alto, arrivando a 477 miliardi di euro. Per il datore di lavoro i contributi salirebbero fino al 22 per cento (che peraltro è il limite massimo ammesso).

PENSIONE MINIMA

Schulz vuole una pensione minima superiore alla sussistenza minima. Il costo di questo provvedimento ammonterebbe nel 2030 a 3 miliardi di euro, a patto che venga riconosciuta esclusivamente a chi ha provveduto a sottoscrivere anche una previdenza privata. Un vincolo, quest’ultimo, che la ministra del Lavoro, la socialdemocratica Andrea Nahles, spera di poter eliminare. Nahles intende finanziare la minima attraverso i contributi fiscali e ha già previsto questa voce nella bozza di bilancio 2017.

 MAGGIORI TUTELE PER I SENZA LAVORO

Schulz chiede tutele più adeguate per i disoccupati, per non farli rientrare, dopo soli 12 mesi, tra coloro che percepiscono l’assegno sociale. Schulz promette di portarlo per tutti (e non solo per chi ha raggiunto i 50 anni, come prevede la normativa attuale) a 24 mesi a patto che, i diretti interessati partecipino a corsi di riqualificazione. In questo caso, scrive il settimanale, è difficile calcolare il vero costo di una simile operazione, perché all’onere del prolungamento di ulteriori 12 mesi, si aggiungerebbero anche i mancati introiti fiscali. I dati più recenti disponibili indicano per l’anno 2014, un costo della disoccupazione pari a 56,7 miliardi di euro.

ISTRUZIONE GRATUITA

Schulz vuole che l’istruzione sia gratuita dall’asilo fino all’università. Attualmente gestione e amministrazione (anche economica) di istruzione primaria, secondaria e delle università è di competenza dei Länder, mentre gli asili ricadono sotto l’amministrazione comunale. Non è la prima volta che l’Spd usa l’istruzione gratuita come cavallo di battaglia elettorale, l’ha già fatto nel 2013. Allora i socialdemocratici avevano stimato in 20 miliardi i costi per progetti formativi. Berlino è tra i primi comuni che intendono abolire le rette per i bambini dal primo anno fino all’ingresso alle elementari. A tal fine il comune ha messo in conto nel bilancio 2016/2017 53,3 milioni di euro.


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