L’Unione europea non è estranea a fattori di crisi e minacce. Sin dalla sua nascita, sessant’anni fa, dopo aver affrontato sfide interne – come ad esempio la crisi finanziaria, la minaccia della Grexit, le pressioni esterne provenienti dalla Russia e dalla Cina e, più di recente, il terrorismo e i flussi migratori di massa – ne è uscita più rafforzata.
Ma prima d’ora, l’Unione europea non ha mai dovuto fare i conti con il fuoco amico di grandi alleati e sostenitori. Il presidente Trump ha affermato che gli è praticamente indifferente il successo o il fallimento dell’Unione. Che l’Ue è un mero veicolo al servizio del potere della Germania. Che è stata creata solo per combattere gli Stati Uniti nel settore commerciale. E poi, sembra essere convinto che l’Unione europea sia essenzialmente disfunzionale e un’istituzione non democratica, incapace di esprimersi e a un passo dal fallimento. Queste non sono altro che caricature e rappresentano un cambiamento radicale rispetto alla politica estera statunitense finora stabilita.
Per almeno sessant’anni, gli Stati Uniti hanno perseguito, su base bipartisan, una politica di supporto al progetto europeo di integrazione. Tutto ciò ha avuto particolarmente senso perché il progetto era stato per la maggior parte nell’interesse nazionale degli Stati Uniti in svariati campi d’azione, tra cui rientrano il commercio, la competitività, la creazione di un mercato unico e, solo di recente, la creazione di un unico mercato digitale, un’unione dell’energia e un’unione dei mercati dei capitali, e gli sforzi per rafforzare l’applicazione della legge e la protezione dei confini esterni europei. Il mondo del business statunitense è stato tra i più fervidi sostenitori dell’integrazione europea, perché ne è stato il principale beneficiario.
Per gli Stati Uniti, stravolgere questa politica bipartisan avrebbe delle conseguenze negative in termini sia economici sia politici. La sponda est dell’Atlantico dovrebbe evitare di confrontarsi e prendere accordi con l’Europa esclusivamente su base bilaterale e transnazionale, ignorando allo stesso tempo le istituzioni europee o agendo come un sostenitore della Brexit e di simili movimenti in sviluppo nei restanti 27 Paesi membri.
L’Ue non sta per crollare in mille pezzi. Al contrario, sta raggiungendo dei risultati in numerose aree che interessano gli stessi Stati Uniti. Washington dovrebbe incoraggiare una maggiore coesione europea, maggiore efficacia e volontà di intrecciare relazioni con gli Stati Uniti per affrontare una lunga lista di sfide regionali e globali. L’Unione europea, non solo gli Stati membri quindi, ha importanti asset che possono contribuire alla causa.
Nel caso in cui l’Europa dovesse frammentarsi e indebolirsi, è importante che il mondo degli affari statunitense – non solo la Silicon Valley, ma anche l’industria manifatturiera dell’entroterra – ricordi agli uomini d’affari dell’amministrazione quanto è in gioco in termini di export, occupazione e crescita. Anche se gli interessi del business statunitense sono troppo ristretti per costituire un indicatore utile a giudicare l’importanza dei successi dell’Europa per gli Stati Uniti, potrebbe essere l’unica argomentazione per prevenire una catastrofica inversione della politica degli Stati Uniti verso l’Unione europea.
Gli Stati membri dell’Ue dovrebbero mandare dei chiari segnali a Washington per far capire che non permetteranno che l’Unione venga messa da parte o minacciata; e dovrebbero sottolineare che mentre è in campo un naturale desiderio di mantenere una relazione collaborativa con la nuova amministrazione, il tutto si baserà sul rispetto della democrazia, dei diritti umani, della tolleranza e della normativa internazionale, così come della protezione delle istituzioni internazionali messe in piedi insieme a partire dalla Seconda guerra mondiale.