I voucher sono come l’olio di palma. Nessuno ha capito perché sia nocivo, ma tutti i prodotti alimentari non lo usano più e sbandierano questa decisione nella pubblicità televisiva. I voucher sono una forma di retribuzione dei lavori occasionali che si è rivelata pratica ed utile per i datori, le aziende e gli stessi lavoratori. I voucher vengono accusati di essere l’ultima raffica del precariato. E tutti suonano la stessa musica sul medesimo spartito senza compiere il minimo sforzo per analizzare la situazione. L’uso legittimo dei buoni è compreso all’interno di un perimetro che riguarda l’insieme dei committenti e il singolo datore. Questi limiti non sono mai stati superati nella generalità dei casi. Il valore medio dei voucher distribuiti non ha mai superato i 500 euro annui; solo il 2,2% è andato oltre i duemila euro. E’ questa la prova provata di un uso corretto.
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Scottato dal referendum del 4 dicembre il governo – che ha fissato per il 28 maggio la convocazione del referendum – si propone addirittura li varo di un decreto legge che modifichi le norme “infette” se non addirittura che le abolisca direttamente. Questa seconda soluzione metterebbe il governo al riparo da un giudizio della Corte di Cassazione chiamata a valutare l’adeguatezza delle eventuali modifiche a risolvere i contenuti posti dal quesito referendario. Essendo tale quesito totalmente abrogativo il governo corre il rischio che al referendum si vada comunque anche in caso delle revisioni normative di cui si parla (che comunque ridurrebbero quasi a zero l’utilità dei voucher).
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Pare allora che sia stata concepita l’idea balzana di un decreto legge che mandi a quel Paese l’istituto dei voucher. Ma – se così fosse – non avrebbe nulla da dire il presidente della Repubblica che quel decreto dovrebbe firmare? Dove starebbero i motivi di urgenza: nell’impedire agli italiani di votare secondo quanto previsto dalla legge?
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Guai a dimenticare poi il referendum sugli appalti che, in caso di vittoria dei sì, produrrebbe degli effetti economici devastanti in tutti i settori produttivi.
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Silvio Berlusconi al solito ha capito tutto. Ha ragione quando afferma che i “grillini” sono peggio dei comunisti. E che, se vincessero le elezioni, sarebbe opportuno espatriare.
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Speriamo che in Olanda non sfioriscano i tulipani.