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Perché l’Anac di Cantone ha sospeso la pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti pubblici

Si complicano i giochi per la pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti pubblici, che una recente norma, in ossequio ai principi del FOIA (il cosiddetto Freedom of Information Act, in materia di trasparenza), aveva reso obbligatoria, equiparando i grand commis ai politici.

Dopo un ricorso al Tar da parte dei dirigenti del Garante della privacy, accolto con sospensiva, e quello di Unadis, il sindacato dei dirigenti pubblici, arriva la Delibera numero 382 del 12 aprile 2017 dell’ANAC. L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha sospeso una sua precedente delibera sulla pubblicazione in attesa che la giustizia amministrativa definisca il giudizio nel merito o in attesa di un intervento legislativo chiarificatore da parte del Parlamento.

Dopo il fuoco e fiamme di alcuni quotidiani sulla faccia di bronzo dei dirigenti, poco inclini a svelare le loro ricchezze e protettori di ladri e malviventi (ebbene sì, è stato detto anche questo), l’Autorità guidata da Raffaele Cantone, posta la necessità di evitare alle amministrazioni situazioni di incertezza sulla corretta applicazione delle norme, con conseguente significativo contenzioso, nonché disparità di trattamento fra dirigenti appartenenti ad amministrazioni diverse, ha messo un punto ed è andata a capo.

Sia chiaro: l’ANAC non interviene sull’obbligo di legge circa la pubblicazione che, in quanto tale, va rispettato e può, ove ritenuto non conforme al quadro costituzionale, essere contestato nelle sedi giudiziarie. Si limita a fare un passo indietro circa le indicazioni operative in precedenza stabilite dato il quadro di incertezza generato da due giudizi in attesa di definizione davanti il giudice amministrativo.

Il punto del contendere è noto: un decreto del 2016, che sarebbe divenuto efficace proprio in questo periodo, stabiliva che venissero resi noti per i dirigenti pubblici, analogamente ai politici, i dati su proprietà immobiliari (case e terreni), beni mobili iscritti in pubblici registri (auto e moto), azioni e quote di partecipazioni a società, estendendo tale obbligo al coniuge e ai parenti entro il secondo grado. Insomma: obbligo di rendere pubblici con pubblicazione sui siti delle amministrazioni non solo i redditi, ma l’intero patrimonio del singolo dirigente e della sua famiglia. Un obbligo, è bene ricordarlo, già in vigore nei rapporti con le amministrazioni di appartenenza, che da anni detengono i dati in parola, disponibili per lo scrutinio delle competenti autorità in caso di bisogno.

Non intendo ritornare sul fatto che in molti hanno baldanzosamente portato avanti una distorta concezione di trasparenza, che omaggia l’assunto che il burocrate sia potenzialmente corrotto e che spetti a lui dimostrare come ha avuto quella casa, quella macchina, quel terreno. Va detto, tuttavia, che la pronuncia dell’ANAC è importante perché segna il punto del funzionamento del sistema che, pur con tutti i nodi da risolvere in quanto a semplificazione e speditezza, non può e non deve conformarsi ai processi mediatici e alle condanne in rete. E funziona, aggiungo, a prescindere dalla rabbia dei cittadini, molto spesso più che comprensibile, che viene cavalcata ad arte e con pochi scrupoli da chi agita le acque seguendo le proprie personali agende.

La pronuncia dell’Autorità Anticorruzione impone una pausa di riflessione: la cosa pubblica, a dispetto dei tanti Mr. Wolf nostrani, è complessa. A volte complicata, non c’è dubbio. Ma la sua gestione, così come la risoluzione delle controversie, richiedono passaggi codificati, senza crociate, social o meno. Si pronuncerà un giudice sul merito della questione, mentre saranno le amministrazioni a dover valutare come comportarsi nell’attesa del giudizio. O, come auspica l’ANAC, in attesa di un intervento legislativo che, magari, rimetta mano al peccato originale di aver voluto equiparare burocrazia e politica, assecondando la pancia in luogo della testa. Una riflessione di cui, ne sono certo, potranno trarre giovamento un po’ tutti, haters e crociati inclusi.

È lo Stato di Diritto, bellezza.


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