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Ecco come l’attentato Isis a Parigi ha influenzato le elezioni presidenziali in Francia

CARLO JEAN, Isis, iran

L’impatto percepito del terrorismo è enormemente maggiore della realtà. In Occidente, tra il 2000 e il 2015 (incluso l’11 settembre 2001), la probabilità di morte per terrorismo è stata inferiore a quella per fulmine o per caduta accidentale nella vasca da bagno. Il terrorismo mantiene però la capacità di creare un devastante effetto-panico. Esso si attenua con il tempo, eccetto in un caso: quando l’attentato si verifica in periodo elettorale, come è avvenuto la scorsa settimana a Parigi. La scienza politica è portata a sottostimare l’effetto delle emozioni, rispetto a quello delle ideologie.

Il recente attentato sugli Champs-Elysées, compiuto mentre i candidati francesi erano impegnati nell’ultimo confronto televisivo, ci ricorda esattamente questo. L’impatto del terrorismo è amplificato dai media. Il primo ha bisogno dei secondi per amplificare i suoi effetti di terrore e fornisce al contempo ai secondi l’opportunità di disporre di immagini e di notizie drammatiche, che ne espandono l’audience e il valore commerciale. L’impatto elettorale di un attentato segue nei media un copione simile a quello di un film giallo. All’inizio predomina il dramma, cioè le forti emozioni su cui si gettano a pesce commentatori e analisti spesso improvvisati. Opinione pubblica e istituzioni sono confuse e disorientate. I responsabili politici sono obbligati a rapide risposte, anche in assenza di elementi certi e di analisi razionali.

Le informazioni sono spesso contraddittorie e scomposte. Tutti utilizzano l’evento per aumentare il proprio consenso o minimizzare le critiche sul loro operato. Stenta così a manifestarsi la seconda fase del copione: quella delle risposte razionali e rassicuranti. Il caso più studiato è quello delle elezioni spagnole del 14 marzo 2004, precedute di soli tre giorni dagli attentati a Madrid. Si prevedeva che il partito popolare le vincesse. Invece, le perse nettamente. Alcuni analisti affermano che fu dovuto agli attentati. Altri, alla disastrosa gestione della comunicazione da parte del governo. Altri ancora al discusso intervento spagnolo in Iraq; per evitare che i socialisti affermassero che gli attentati erano legati all’intervento militare, il governo dichiarò subito che era opera dei baschi. La responsabilità degli islamisti venne però subito a galla. Gli elettori si persuasero che il governo manipolasse l’informazione e che li ingannasse. L’iniziale reazione patriottica, che aveva rafforzato i popolari, si rovesciò completamente.

Analisi effettuate negli Usa, in occasione delle elezioni presidenziali del 2004, conclusero che gli impatti di un attentato sui voti variano grandemente. La reazione dipende dal livello della cultura della sicurezza dell’opinione pubblica, dalla fiducia nelle istituzioni e dalla credibilità della comunicazione istituzionale. Le analisi hanno allora concluso che per bin Laden era indifferente una vittoria elettorale di Bush o una di Kerry e che la tempistica degli attacchi non potesse comunque essere modulata sulle scadenze elettorali. Resta l’interrogativo su come un attentato influisca sulle votazioni. Di certo, taluni partiti ne sono avvantaggiati e altri danneggiati. Ogni previsione è difficile. Dipende non tanto dall’attentato, quanto dalla gestione della comunicazione da parte sia del governo, sia dell’opposizione; quindi dalla comunicazione.

Il divario tra percezione e realtà è determinata soprattutto dalla Tv, con le sue ripetute immagini di morte, panico e reazioni scomposte. I media hanno una naturale tendenza a drammatizzare e trasformare ogni evento in spettacolo. Le emozioni forti aumentano l’audience. I media trovano uno spazio vuoto determinato dall’inevitabile confusione iniziale e dal disorientamento delle istituzioni. La strategia adottata nel Regno Unito, ammaestrato dai ripetuti attentati dell’Ira, di riservare ogni notizia alla conclusione delle indagini, appare la migliore per evitare le distorsioni che un attentato provoca sul comportamento elettorale. È tale strategia praticabile in Italia, data la frammentazione e la conflittualità fra le istituzioni, la scarsa fiducia nella classe politica e la tendenza all’emotività? Esse verrebbero sfruttate nella lotta elettorale, aumentando l’effetto di un attentato.

A parer mio, il problema è gravissimo, poiché un attentato inciderebbe grandemente sul voto. Esso potrebbe esserne stravolto. Il suo risultato sarebbe contestato e delegittimato. Le misure che potrebbero essere prese per attenuare tali impatti negativi sono sia preventive, sia di gestione istituzionale della comunicazione di emergenza. Quelle preventive dovrebbero riguardare il rafforzamento dell’organizzazione delle comunicazioni di emergenza nella presidenza del Consiglio dei ministri. Essa dovrebbe disporre anche di un settore in grado di controllare l’impatto delle varie comunicazioni sulle tendenze elettorali. Ordini professionali e direzioni dei giornali e delle reti televisive dovrebbero poi frequentare stage sulla gestione delle emergenze.

Dovrebbero, infine, essere previste misure repressive contro chi diffonde allarmismi o false notizie. La rilevanza del fatto sulla tenuta stessa della democrazia giustifica la temporanea limitazione delle libertà d’informazione. Se la situazione dovesse sfuggire al controllo, la presidenza potrebbe essere delegata al posticipo delle elezioni, da disporre con decreto legge. Occorre poi evitare il pericolo che chi ha il controllo delle informazioni le manipoli a proprio favore. Un team trasversale di personalità credibili, definite in anticipo, dovrebbe coadiuvare la presidenza del Consiglio nella gestione dell’informazione. Il pubblico dovrebbe essere preparato con la diffusione di qualche simulazione sull’impatto elettorale di un attentato. Ciò contribuirebbe a rafforzare la cultura della sicurezza nel nostro Paese, centrale per contenere le distorsioni elettorali di un attentato.


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