Non deve essere facile distillare ogni giorno che Dio manda in terra, per contratto, una perla di saggezza nella forma dell’aforisma fulminante. Certo c’è sempre la miniera, come si diceva un tempo, ma anche questo mestiere di editorialista di quotidiano in prima pagina conosce le sue fatiche. Lo sa bene Massimo Gramellini, che lo svolge da anni e che, passando dalla Stampa al Corriere della Sera, ha prodotto un effetto domino, con Mattia Feltri che l’ha sostituito sul quotidiano torinese e l’amaca di Michele Serra ascesa alla home page di Repubblica.
Di certo, Gramellini ieri l’ha azzeccata. Ha dedicato il suo “Caffè” non alla satira sulla notizia politica del giorno prima, al grande personaggio dello show biz o alla tendenza di costume del momento, ma all’elogio di un sostanzialmente sconosciuto attore – Giovanni Mongiano – che ha rappresentato lo spettacolo al teatro di Gallarate completamente vuoto. Neanche uno spettatore. Un atto giustamente definito rivoluzionario in una società che misura i pubblici aritmeticamente, in modo maniacale, come non esistesse qualità ma solo quantità. Il consenso a breve termine che, siamo quasi tutti d’accordo, rovina la politica, impedendo alle leadership di prendere misure impopolari ma salutari; il mercato che, in una venefica alchimia tra domanda e offerta, propone e impone merci di massa, senza risparmiare nemmeno la cultura (basti vedere i talent imperanti nel prime time televisivo); i social network che magari tiriamo in ballo un po’ troppo spesso ma che è davvero hanno diffuso il “mi piace” a livelli mai visti prima (la metà degli italiani sta su Facebook), portandoci a sparare qualunque fesseria pur di raggranellarne; la popolarità giovanile e scolastica, importata con i serial americani, che facendo leva sull’ansia e sull’incertezza tipiche dell’età adolescenziale e giovanile ha amplificato fenomeni negativi come il bullismo; i professori universitari che si contendono gli studenti per gratificare il proprio ego, senza mai domandarsi perché registrino l’esodo dalle cattedre (ho personalmente assistito allo sfogo di un baronetto che ricordava come ai bei tempi, davanti al suo studio, si facesse la fila).
Questa ricerca bulimica del riconoscimento altrui determina problematiche e perfino patologie, come attesta lo studio del Mit secondo cui quasi la metà delle relazioni interpersonali è viziata dall’errata convinzione della reciprocità del sentimento che proviamo. Anche Marco Belpoliti ha ben evidenziato il “come ci vediamo visti” quale ossessione tipica dei nostri tempi. E c’è chi sostiene scientificamente l’utilità dell’antipatico proprio per garantire efficienza e meritocrazia.
L’attore che recita nel “forno”, come dicono i teatranti, benché la legge del palcoscenico consenta di non andare in scena quando il pubblico è meno numeroso della compagnia, è davvero un eroe per la sua capacità di andare controcorrente. A chi scrive è capitato di essere spettatore quasi unico di salette off. Una volta ero solo con mia moglie e con un bambino che rideva come un matto alle battute effettivamente divertenti dello spettacolo: era il figlio della coppia in scena. Il protagonista maschile morì qualche anno dopo, in Africa, durante uno dei perigliosi viaggi in moto che alternava alle tournée teatrali, conducendo entrambe le attività con lo stesso coraggio spavaldo. Ricordo quella serata come una delle più belle che abbia vissuto da spettatore.