Benedetto XVI compie novant’anni.
Ci sono molti modi con cui può essere ricordata certamente una delle figure religiose, politiche ed intellettuali di maggior rilievo dell’epoca contemporanea: dalla partecipazione al Concilio Vaticano II, a vescovo di Monaco, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, fino al suo magistero pontificio dal 2005 al 2013, e dopo, con la rinuncia, a uomo di preghiera e di meditazione.
L’aspetto, tuttavia, più importante della sua lunga vita, quello che attraversa le diverse fasi dell’eccezionale biografia, è sicuramente il contributo intellettuale. Senza dubbio, Joseph Ratzinger è stato ed è il teologo vivente di maggior consistenza dottrinale e profondità dell’intera epoca moderna. Lo dimostrano i suoi studi ad ampio spettro di teologia dogmatica, ecclesiologia, etica, politica, liturgia, escatologia.
In tutti questi lavori domina un’unica grande linea di pensiero, proposta e analizzata nelle più disparate declinazioni, un riferimento chiaramente di profilo agostiniano al primato della “verità” come categoria metafisica ed esistenziale classica e permanente.
Conoscere se stesso, per l’uomo, è domandare intorno ad una verità fondamentale che dia senso e possa orientare la vita. E la domanda sulla verità, come ebbe a dire già in una sua giovanile prolusione del 1959, è aprire il cuore alla questione di Dio.
In un bellissimo libro, titolato “Il Dio di Gesù Cristo”, ha spiegato come e perché l’uomo non può fare a meno di Dio, e come e perché nel nostro tempo fatica a trovare la sua verità.
Fa qui la comparsa un secondo grande nodo concettuale ratzingeriano: l’idea dell’uomo, della sua miseria e grandezza, della volontà di cercare e trovare Dio come verità personale che salva e redime nel tempo e nel mondo, e il desiderio contrario di assecondare e sottomettere se stesso e la realtà al proprio potere, oscurando se stesso.
È questo lo scontro tra la “città di Dio” e la “città terrena”, esemplificata dalla figura di Gesù, testimone della verità, e Pilato, testimone della soggezione scettica della verità al potere.
Straordinarie sono le analisi di questo binomio nella sua trilogia su Gesù: dal livello teoretico, in cui si contrappone conoscenza speculativa e tecnica, a quello etico, in cui si misura la lotta tra il bene in sé e la tendenza umana a privarsene, a quello teologico di peccato e redenzione, a quello politico, riassunto nella disputa tra giustizia personale e violenza individuale.
Quest’ultimo aspetto è probabilmente la chiave di volta per intendere il Ratzinger teologo e il Ratzinger pontefice.
Benedetto XVI, in alcuni grandi interventi a Ratisbona, al Reichstag di Berlino, a Milano, nella Repubblica Ceca, all’Onu, ha spiegato costantemente come la religione non sia la politica, le cose di Dio non siano le cose di Cesare e la Chiesa non sia lo Stato. E tuttavia queste due dimensioni hanno bisogno l’una dell’altra nella propria reciproca autonomia. Perdere tale distinzione significa cadere nel laicismo di uno Stato senza etica, o nel fondamentalismo di una Chiesa senza libertà.
La politica deve essere libera, ma il potere deve, al contempo, essere limitato e inserito in una più ampia verità etica. Solo il riconoscimento nella coscienza di un Dio creatore universale offre all’uomo il fondamento di un diritto naturale e morale oggettivo, dando libertà sostanziale autentica alle persone. La fede dunque ha bisogno della ragione perché ne è origine e principio di legittimità, ma ne trascende la portata autonoma e solipsistica nella trascendenza della vita eterna.
Leggere e comprendere gli scritti teologici e magisteriali di Benedetto XVI è aprirsi continuamente ad una conoscenza più ampia del Cristianesimo, insostituibile e impareggiabile: una straordinaria opportunità di capire e vedere prospettive, raccolta nei suoi poderosi e amplissimi scritti.
Nel giorno in cui si festeggiano i novant’anni di Benedetto XVI è pertanto giusto che il mondo intellettuale gli dia il riconoscimento che merita, e, in tante occasioni, pure delle sincere scuse dovute, per non averlo capito o non aver voluto farlo.