Quando ho deciso di partecipare alla assemblea Eni ho letto bene il regolamento dell’azionista Eni che definisce: “Avere le azioni Eni ti dà diritto a intervenire e votare all’Assemblea degli Azionisti. L’Assemblea è un’occasione privilegiata in cui puoi dialogare con gli amministratori, comprendere meglio i risultati e gli obiettivi di Eni e, attraverso il tuo voto, prendere parte a decisioni sulle materie all’ordine del giorno”.
Per questo, con le mie ben 100 azioni, ho fatto richiesta di partecipare ed intervenire.
Ho ritenuto importante portare il mio contributo visto che il tema energetico è entrato prepotentemente nelle case degli italiani, non solo per il costo delle bollette, ma con la discussione sul modello di sviluppo futuro.
Come in altre esperienze della vita la ‘prima volta’ ha qualcosa di speciale, o almeno così ci piace credere. Per questo avevo preparato con grande cura il mio primo intervento da azionista all’assemblea di bilancio di Eni.
La sera precedente, nonostante i tanti interventi e discorsi in pubblico, ho sentito l’emozione e ho avvertito la solita sciatalgia che, come ai tempi degli esami universitari, esce magicamente quando sono un po’ nervoso. Quindi la mattina ho ripassato i fogliettini con gli appunti, dove mi ero segnato i temi forti da affrontare: l’esigenza di cominciare a estrarre il nostro gas a chilometro zero in Adriatico, il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori, il ruolo di Eni nella strategia energetica del Paese.
Sono soddisfatto, perché negli otto minuti che avevo a disposizione come da regolamento, sono riuscito a toccare tutti questi argomenti e alcuni punti da me sottolineati sono stati ripresi anche dalle agenzie di stampa. E perché l’amministratore delegato del cane a sei zampe, Claudio Descalzi, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti ha approfondito alcuni elementi che avevo toccato nel mio intervento, fra cui il ruolo e l’importanza di trovare una strategia che metta insieme le esigenze degli share holder con quelle degli stake holder.
Una delle ispirazioni principali del mio intervento è stata la ricorrenza di un avvenimento importante per il settore dell’oil&gas italiano: un anno fa il referendum sulle trivellazioni in mare era stato bocciato dagli italiani. Ripagando lo sforzo e la passione dei tanti occupati del settore che si erano mobilitati per difendere il proprio lavoro.
Se accettiamo l’idea che il 4 dicembre 2016 gli italiani si sono espressi con chiarezza per non cambiare la Costituzione, dobbiamo accettare che anche il 17 aprile avevano dato una chiara indicazione di disaccordo con i tanti comitati ‘Notriv’. In democrazia non può valere la prassi dei due pesi e delle due misure.
Ho sottolineato come non sia giusto che poche centinaia di persone, conquistando le prime pagine dei media, possano fermare la costruzione del metanodotto Tap, che è strategico per l’approvvigionamento energetico del Paese e dell’Ue mentre migliaia di operatori che si sono ritrovati all’Omc di Ravenna per cercare la strategia migliore per assicurare il funzionamento della macchina energetica (quella che fornisce l’elettricità anche ai comitati ‘noatutto’) sembrano invisibili agli stessi media.
Un altro dei temi che mi stanno a cuore riguarda il gas nazionale e la scelta di estrarlo. Gas a chilometro zero che si trova in Adriatico: lo so perché sono nato e abito a Ravenna, una città che possiede uno dei distretti oil&gas più importanti d’Italia con un indotto di alto livello. In Emilia-Romagna ci sono circa 10mila lavoratori impiegati direttamente nell’oil&gas, in 976 aziende. E se consideriamo anche i codici Ateco di chi opera in settori affini – meccanica, impiantistica, logistica, ingegneria, ecc – arriviamo a quasi 100mila persone. Ho citato queste cifre nel mio intervento perché spesso chi parla del numero di lavoratori dell’oil&gas italiano tende a dare numeri a caso, quando non inventati (la mia fonte è Unioncamere Emilia-Romagna).
Ho ricordato che siamo pronti per produrre gas in modo competitivo e sostenibile. Ho proposto, anzi ho posto una domanda sulla possibilità di compiere una scelta politica che favorisca il consumo del nostro gas rispetto al consumo delle altre fonti fossili più inquinanti. E magari contemporaneamente definire misure fiscali per favorire un prezzo più basso per il gas italiano (a km zero) rispetto al gas importato. Sotto questo profilo Claudio Descalzi è stato chiaro, ricordando che «il gas a costo zero è una scelta politica, perché i costi sono molto alti». Ma il punto non è tanto il costo zero, quanto trovare una nuova strategia nazionale, che permetta di sperimentare un paradigma produttivo innovativo, che metta insieme la produzione energetica, il gas a chilometro zero e le rinnovabili.
Un percorso di sostenibilità ambientale, economica e sociale verso cui la stessa Eni sta procedendo con grande convinzione, visti gli investimenti per 31,6 miliardi, con un flusso medio annuo di poco meno di 8 miliardi. Di questi, oltre 2 miliardi riguardano l`offshore dell’Adriatico.
Alla fine dell’intervento, tornando al mio posto, mi sono chiesto quale potrebbe essere il passo successivo. La risposta che mi pare più convincente è che bisogna tenere duro, continuare a parlarne, coinvolgere i tanti cittadini che non scelgono di bloccare le città o i cantieri, ma che sanno valutare cosa sia importante per il benessere comune. E che ogni giorno continuano fare il proprio lavoro.
Servono ovviamente soluzioni condivise: per questo la politica non può nascondersi dietro la scusa delle proteste di chi, in realtà, vuole minare la credibilità di competenze e conoscenze ( anche scientifiche). Anche chi non protesta ha diritti, in un sistema democratico, e spetta proprio a chi è stato eletto far valere questi diritti.
Proprio l’assemblea di Eni mi ha dimostrato, se mai ce ne fosse bisogno, qual è la forza vera della democrazia: anche un piccolo azionista può intervenire e venire ascoltato. Mi piace insistere su questo tema perché c’è chi ritiene che basti organizzare un referendum sul web per decidere il futuro energetico di un Paese. C’è chi pensa che basti semplificare i problemi perché tutto funzioni. La storia invece ci ha insegnato che spesso la realtà è complessa e per questo richiede risposte complesse e non demagogiche.
La domanda con cui ho concluso l’intervento è la stessa che pongo da tempo alle istituzioni, alle associazioni di rappresentanza, ai sindacati e alle imprese: cioè cosa possiamo fare insieme per rendere il settore industriale e quello energetico un’opportunità per la crescita e la sostenibilità ambientale, economica e sociale del nostro Paese. La mia risposta è che bisogna cominciare a lavorare insieme perché alla fine si possa lavorare tutti.