Dalla Francia dove è in viaggio, il patriarca di Baghdad, mar Raphael Louis I Sako (nella foto), ha respinto ancora una volta l’ipotesi di concedere ai cristiani iracheni lo status di minoranza da proteggere. Sako, e non da oggi, è il principale oppositore all’idea che da tempo circola non solo nel martoriato paese mediorientale, ma anche in diverse cancellerie occidentali e – pure – alle Nazioni Unite. A giudizio della chiesa caldea, però, la misura si rivelerebbe nient’altro che un pericoloso boomerang. Fare dei cristiani un’enclave in terre da loro abitate per secoli è considerato quasi un insulto.
“GLI STESSI DIRITTI PER TUTTI I CITTADINI”
Il ragionamento del patriarca è più articolato della semplice contestazione della proposta, che risulterebbe fine a se stessa se non motivata. “Ci vuole una politica più aperta, anche a livello di cittadinanza, il regime deve mantenere gli stessi diritti per tutti gli iracheni e cancellare le leggi settarie”. Sako pone anche dei precisi paletti: “La difesa di tutti gli iracheni, siano essi musulmani, yazidi o cristiani, deve essere garantita dall’esercito nazionale, e non spetta affatto alle forze armate straniere”.
“NO ALLE TRUPPE STRANIERE”
Questo è il primo punto decisivo: la protezione deve essere affidata all’esercito iracheno, che da mesi è impegnato nella liberazione della piana di Ninive dalle milizie califfali. No alle ingerenze straniere, di alcun tipo. Un proposito che non contraddice quanto, un paio d’anni fa, lo stesso patriarca aveva auspicato, e cioè un intervento armato straniero (meglio se fatto da truppe arabe o comunque musulmane) per liberare l’Iraq dalla presenza dello Stato islamico. Un conto è la liberazione, altra cosa è la gestione una volta che l’emergenza prioritaria sarà risolta.
IL PROBLEMA DELLE MILIZIE LOCALI
Scrive l’Osservatore Romano che “secondo il patriarca caldeo, le piccole milizie locali formate sulla base dell’appartenenza etnico-religiosa sono più che altro bersagli per i fondamentalisti islamici, e svolgere un’operazione isolata non ha senso”. Sako da sempre si è espresso contro l’opzione delle cosiddette milizie cristiane, che non farebbero altro che surriscaldare ulteriormente un clima già infuocato, riducendo lo scontro casa per casa a guerra interreligiosa. A tale proposito, il quotidiano ufficiale della Santa Sede ricorda quanto lo stesso presule disse intervenendo a un forum sul futuro dell’Iraq, svoltosi qualche settimana fa a Sulaymaniyah: “La sfida principale è di costruire uno stato di diritto, una democrazia nazionale, moderna, un paese basato sul principio della cittadinanza e non su rapporti di forza predefiniti tra maggioranze e minoranze determinate a seconda dell’etnia o della religione”.
LA SEPARAZIONE TRA STATO E RELIGIONE
Insomma, “c’è un futuro per tutti” e questo “richiede uno stato moderno e civile, che non abbia niente a che vedere con la religione. Del resto, tanti politici in Iraq auspicano una separazione tra religione e stato, senza la quale non ci sarà né futuro né progresso”. Questo è uno dei punti chiave del dialogo odierno tra cristianesimo e islam, vale a dire la separazione tra l’elemento religioso e quello politico. La deriva dell’islamismo (islam politico) è considerata, anche da molti intellettuali musulmani, come il cancro che progressivamente ha attaccato la possibilità di convivenza tra gruppi religiosi diversi nel medesimo spazio. Ed è questo il tema all’ordine del giorno che – non si sa in quale forma – sarà toccato anche nel corso dell’incontro di fine mese al Cairo tra il Papa e il Grande imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb, responsabile del principale centro teologico sunnita.