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Perché la riduzione dell’Irpef è sparita?

Stefano Cingolani dell'Irpef

Il giorno in cui il governo, sudando sette camicie, rinviava a ottobre le scelte di politica economica più importanti, il Wall Street Journal pubblicava un articolo velenoso per dire: dimenticate la Francia, il vero pericolo per l’euro e l’intera Unione europea viene dall’Italia che non cresce, aumenta il debito e s’accontenta di galleggiare. Perfidi i colleghi americani. Forse s’illudono sulla Francia (anche se Marine Le Pen non diventerà presidente della Repubblica, il Paese è intrappolato in una spirale populista e neo-nazionalista di destra e di sinistra). Ma possiamo dar loro torto?

La manovrina annunciata non si presta a grandi ragionamenti, per la sua scarsa portata e per la logica che la ispira: spiluccare un po’ qua un po’ là. Difficile valutare anche il Documento di economia e finanza se non prendendo atto che l’economia arranca e il prodotto lordo aumenta di appena un punto percentuale. Con una inflazione anche lei attorno all’un per cento, il prodotto nominale, quello che incide sul famigerato rapporto tra debito e pil, non è in grado di avviare una riduzione sia pur graduale del debito pubblico.

Insomma, la tendenza spontanea della congiuntura non ci porta da nessuna parte, anche se non cambiassero le condizioni esterne le quali, invece, sono destinate a mutare e non in modo favorevole a cominciare dalla politica monetaria e per finire con i commerci mondiali: per un Paese esportatore come l’Italia in neo-protezionismo è peggio della cicuta.

Ma forse la scelta che segna meglio di ogni altra la politica di bilancio riguarda le imposte. Ancora una volta, la riduzione dell’Irpef, cioè della imposizione sui redditi, viene gettata alle ortiche, nonostante promesse ripetute, più o meno solenni. Si parla di ridurre il cuneo fiscale, una operazione necessaria sulla carta, ma fallimentare ogni volta che è stata realizzata, soprattutto per colpa degli imprenditori che hanno intascato i benefici invece di investirli. La curva degli investimenti privati è da brividi: dopo la picchiata del 2008-2009 non è più tornata ai livelli precedenti al contrario da quel che è accaduto negli altri Paesi della zona euro. E qui la moneta unica non c’entra.

Ancora una volta, un governo di sinistra lascia nella polvere la bandiera della equità fiscale (perché ridurre l’Irpef a chi paga è la premessa per ogni redistribuzione). Non ha il coraggio di infrangere il tabù, non ha il fegato per affondare nel ventre molle dell’assistenzialismo parassita alimentato dalla spesa pubblica corrente.

Bene, si dirà, quella bandiera la raccoglierà qualcun altro, tanto peggio per la sinistra. E invece no. La destra che ha governato così a lungo non ha mai ridotto le tasse (né le imposte sui redditi né la pressione fiscale in generale), nonostante nel 2001 avesse stravinto grazie a questa promessa. Oltre tutto, la coalizione berlusconiana ha governato in una fase di crescita della economia italiana e internazionale. E’ la verità basata sui fatti, non su fake news.

I pentastellati, poi, sono il partito delle tasse come e ancor più della sinistra. I grillini vogliono tassare tutto, comprese le macchine (è vero che nel loro delirio fantascientifico parlano dei robot come esseri umani, ma ciò non cambia la loro intrinseca natura di strumenti di lavoro). Quanto alla redistribuzione, non si trova traccia di Robin Hood in Beppe Grillo (anche se non fosse vera la malignità di Silvio Berlusconi secondo il quale non lo ha mai fatto lavorare a Mediaset perché il comico voleva essere pagato in nero). Tutto questo lo diciamo in base a quel che emerge finora dai loro cosiddetti programmi, sempre mutevoli come piume al vento.

Ridurre l’Irpef in modo “equo e solidale” è un compito difficile. Gli spazi sono ridotti, Bruxelles incombe e la Bce vigila. D’accordo. E’ risaputo. Ma non dice questo il Def, non dice dobbiamo andare avanti adagio, “con giudizio”, qualcosina nel 2018, tanto per cominciare, poi via via con una cadenza prudente, ma certa. No, dice che non si farà. Piuttosto ci saranno benefici e prebende. In fondo, il taglio del cuneo fiscale è anch’esso un modo per accontentare gruppi di pressione come i sindacati e la Confindustria.

Invece, l’unico vero messaggio utile a cambiare le depresse e deprimenti aspettative, per svegliare gli spiriti animali, malmostosi, ma dormienti, sarebbe l’annuncio (seguito dai fatti) che per la prima volta si sta prendendo per il bavero l’Italia dei tartassati. Prediche inutili da un piccolo pulpito.


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