La Cina consentirà agli investitori stranieri di possedere quote di maggioranza nelle società assicurative e di intermediazione finanziaria. Una pratica finora proibita, a cui seguirà la rimozione di un divieto per l’importazione della carne di manzo americana, (in piedi dal 2003). Lo ha anticipato tre giorni fa il Financial Times, mentre una dichiarazione arrivata in un’intervista che il presidente americano Donald Trump ha concesso il giorno seguente all’altro grande quotidiano economico globale, il Wall Street Journal, fa da conferma che qualcosina si muove: Pechino “non è un manipolatore di valuta”. Nel giro di poche ore lo smottamento di due delle posizioni forti che hanno contraddistinto la postura trumpiana anti-cinese in fase elettorale: la Cina “ha stuprato” la nostra economia, diceva a proposito dello squilibrio commerciale (oltre 500 miliardi in deficit per gli americani, di cui 310 con i cinesi), anche giocando sul piano monetario. Non è chiaro il valore delle aperture di Pechino, perché pare che siano la messa in operatività di contratti già chiusi dall’amministrazione Obama e dunque niente di così sostanziale verso un riequilibrio commerciale: per questo il segretario al Commercio Wilbur Ross aveva già anticipato richiamando l’ordine, “le parole sono semplici” diceva il 9 aprile la Wsj, ricordando che c’è un ultimatum di cento giorni per sistemare le cose (impossibile, per sua stessa ammissione).
Quelli attuali sono gli effetti del vertice di Mar-a-Lago e della successiva telefonata tra Trump e il leader cinese Xi Jinping – una telefonata che nel vocabolario semplificato che il presidente americano usa per comunicare le sue visioni, (tra il “tremendous” e il “molto”) viene definita “good”. Il colloquio telefonico ha messo in frigorifero la guerra economica perché all’orizzonte ce n’è una che rischia di essere nucleare con la Corea del Nord. Trump chiede che Pechino collabori, altrimenti “risolveremo il problema senza di loro”, ma ammette nell’intervista al Wsj che soltanto dopo aver dieci minuti di faccia a faccia con Xi “ho realizzato” che la situazione “non era facile”. Indizio che senza la Cina difficile si faccia qualcosa (i critici dicono: possibile che non ne avesse chiare le dimensioni prima?). Le minacce di un attacco preemptive, in anticipo sull’avversario, sono ormai continue e ieri la Nbc ha pubblicato un articolo informato sulla possibilità che Washington usi le armi se Pyongyang decidesse di festeggiare il 115esimo anniversario della nascita di Kim Il-sung, fondatore della satrapia e nonno del regnante Kim Jong-un, con un altro test atomico. Il Nord fa sapere di essere pronto alla risposta, in un atteggiamento muscolare dal quale non può esimersi il regime infiocchettato a festa (e far mostra dei propri armamenti è un modo con cui a Kim piace festeggiare). Il gruppo di analisti specializzati di North 38 è il tassello open source che dice che l’allarme dichiarato dalle intelligence americane è tutt’altro che sovrastimato: per quanto è impossibile sapere se e quando Pyongyang testerà un altro ordigno, le foto satellitari danno informazioni che qualcosa nel sito di Punggye-ri, sotto al monte Mantap (dove già erano avvenuti altri test), si sta muovendo.
È un conto alla rovescia da film, perché nelle prossime 24 ore potrebbe scoppiare un conflitto difficile da controllare e prevedere. Che cosa farà l’America se la Corea del Nord testerà la Bomba? Se Washington dovesse dare via a un attacco (che sarà estremamente più massiccio della salva simbolica vista la scorsa settimana in Siria) che reazione avrà Pechino? E Kim come reagirà, considerando che milioni di persone tra Corea del Sud e Giappone sono a tiro dei suoi missili, convenzionali, chimici e atomici? Mario Sechi sul suo List riporta uno stralcio dell’intervento di ieri del capo della Cia Mike Pompeo al Center for Strategic and International Studies che vale la pena citare perché fotografa perfettamente la situazione: “Esiste la possibilità che non si possa più fare niente. Sappiamo che non è solo un rischio nucleare. Non è a una dimensione. Abbiamo una nazione che ha sviluppato un missile intercontinentale capace di trasportare una testata nucleare. Stiamo parlando di una potenza militare, con forze convenzionali, capace di creare una significativa minaccia verso una grande metropoli della terra non distante dalle basi dove sono i sistemi d’arma. E’ un problema davvero complesso. Questa è la ragione per cui è arduo intervenire e il motivo per cui le precedenti amministrazioni, francamente, non lo hanno fatto. Ma il momento sta precipitando, e il Presidente Trump ha detto molto chiaramente che dobbiamo evitare che tutto questo si verifichi”.