Nel 2017 l’Italia destinerà alle spese sanitarie 114.789 miliardi di euro, corrispondenti al 6,8% del Pil nazionale contro una media Ue del 7,2%. Il ministero della Salute ha da poco varato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale i nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza, attraverso i quali lo Stato garantisce che le prestazioni sanitarie siano uniformi sul territorio nazionale, “compatibilmente con i vincoli di finanza pubblici e in condizioni di efficienza ed appropriatezza”, come si legge nel rapporto “Il monitoraggio della spesa sanitaria” del Mef. I nuovi Lea, che hanno accolto all’interno della platea delle prestazioni erogabili dal Ssn anche la fecondazione assistita, i vaccini e prestazioni ad alto contenuto tecnologico come la radioterapia, hanno trovato un’accoglienza abbastanza positiva all’interno della comunità medica. Tuttavia restano ancora alcune zone d’ombra a partire dalle risorse economiche messe in campo per arrivare alle differenze esistenti su base territoriale.
I NUOVI LEA SONO UN INDIRIZZO MA VANNO INTERPRETATI
L’approvazione dei nuovi Lea arriva dopo un lungo iter durato circa 15 anni e dopo un “decreto appropriatezza” molto criticato in ambito medico. “Nell’impostazione dei Lea, rispetto al decreto di appropriatezza di un anno fa, c’è una differenza notevole” – dice a Formiche.net Pierluigi Bartoletti, vice segretario nazionale di Fimmg, uno dei maggiori sindacati dei medici di famiglia – “Il decreto, seppur si chiamava di appropriatezza, di fatto limitava la libertà di prescrizioni, e tutto ciò che limita la potestà prescrittiva, limita l’accesso alle cure”. I Lea hanno, invece, restituito al medico una maggiore libertà nella prescrizione delle prestazioni sanitarie. “I Lea sono un indirizzo, una direttrice, non sono la Bibbia”- prosegue Bartoletti – “Dipende tutto dal modo in cui si interpreta la normativa”. Le critiche più feroci che hanno riguardato il decreto appropriatezza riguardavano proprio i vincoli prescrittivi ai quali si “costringevano” i medici sia di base sia specialistici del Sistema Sanitario Nazionale. “Un medico che interpreta i Lea alla lettera e sulla base di quelli nega al paziente alcuni accertamenti fondamentali, rischia di essere sanzionabile” – aggiunge Bartoletti – “Un medico ha il dovere di prescrivere gli esami dei quali il suo paziente ha bisogno, senza eccedere, certo. Anche in termini brutalmente economici, negare una Pet, che è un esame di alta tecnologia diagnostica per alcuni tipi di tumore, è molto più costoso che prescriverla nel caso in cui il paziente in questione subisca un aggravamento della sua malattia”. Le zone d’ombra più rilevanti sono riscontrabili nei termini dell’equità. “Il problema vero è che queste norme, sia i Lea sia il decreto appropriatezza, limitano l’equità delle cure” – conclude Bartoletti – “Il sistema pubblico ha limitazioni che il sistema privato non ha. Il problema principale che bisogna porsi è come garantire equità e l’accesso alle migliori cure e alle migliori tecnologie anche nel pubblico senza ingolfare le liste di attesa”.
ZONE D’OMBRA DEI NUOVI LEA. FINANZIAMENTI INSUFFICIENTI E TROPPE DIFFERENZE SU BASE REGIONALE
Secondo gli ultimi dati Censis in Italia circa 11 milioni di persone rinunciano o procrastinano le cure mediche. Le fasce più colpite sono gli anziani e i “millennials”, i primi vincolati a pensioni troppo esigue i secondi vessati da disoccupazione e precarietà. La crisi economica, dunque, arriva a colpire anche la salute. “Questi nuovi Lea erano pronti già nel 2015” – dice Mario Lavecchia, vicesegretario nazionale dell’Anaao Assomed, associazione di medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale – “La maggior contesa è stata sul finanziamento, per questo si è aspettato così tanto tempo. Siamo stati fermi un anno perché Regioni e Stato hanno, per così dire, “litigato” per capire quale fosse il finanziamento da stabilire. Da un certo punto di vista possiamo dire “finalmente” ci sono i nuovi Lea, da un altro, però, dobbiamo considerare che i Lea sono corretti quando riescono a dare le giuste risposte al cittadino”.
Le risposte ai cittadini possono essere garantite solo se sono fornite le necessarie risorse economiche per funzionare. “Sono due le gambe sulle quali si reggono dei Lea che funzionano: da un lato ci sono le risorse economiche, dall’altro ci sono gli aspetti organizzativi. I finanziamenti ad ora non hanno soddisfatto nessuno. Le Regioni si sono dichiarate insoddisfatte, si creerà, verosimilmente, un nuovo buco economico nel già disastrato Ssn. L’altro punto sono gli aspetti organizzativi. Questi Lea hanno il pregio di inserire nuovi esami diagnostici anche di altissima tecnologia come la Pet. Bene ma per essere fruibili è necessario che ci siano le risorse umane e tecnologiche. Da anni va avanti il blocco dei turnover, abbiamo la rivisitazione degli standard ospedalieri con la riduzione dei posti letto. Siamo arrivati a punti decisamente bassi. Abbiamo ridefinito i Lea, va bene, ma è stato assegnato un finanziamento insufficiente che si aggiunge a una carenza di risorse umane e tecnologiche. Le conclusioni di possono trarre da questi dati”.
Le discrasie su base regionale sono altre ombre che gravano su questi Lea. ” L’Italia è molto lunga e non solo geograficamente” – prosegue il dott. Lavecchia – “Ci sono delle Regioni dove molti di questi Lea erano stati già applicati. Altre Regioni invece sono ancora indietro e dovranno fornirsi di tutto, dalle apparecchiature, al personale adeguato ai centri di riferimento come ad esempio per le malattie rare. Diciamo che i cittadini avranno nuovi Lea, probabilmente si dovranno spostare e se non hanno qualche esenzione rischiano di pagare di più”. Tuttavia non ci sono solo ombre. “Un aspetto positivo c’è. È stata individuata una commissione che su base annuale, teoricamente, dovrebbe aggiornare i Lea” – conclude il dotto Lavecchia – “Questo potrebbe in teoria essere un aspetto positivo senza dover aspettare anni per vedere il rinnovamento dei Lea”.