Non si può lavorare 40 ore alla settimana. Non secondo il Movimento Cinque Stelle almeno. Perché, chi l’ha detto che più si lavora e più si produce? I parlamentari pentastellati completano il puzzle del programma di governo, affrontando il tema del lavoro (qui un primo focus di Formiche.net) la cui filosofia è stata presentata ieri pomeriggio alla Camera da un gruppo di parlamentari capeggiati dal vicepresidente di Montecitorio e candidato premier in pectore per M5S, Luigi Di Maio.
MENO ORE, PIU’ PIL
Sul podio delle preferenze degli iscritti alla piattaforma Rousseau, la riduzione delle ore di lavoro settimanali (68 mila preferenze su 210 mila voti). Perché, si sono detti i grillini sul blog di Beppe Grillo in un post pubblicato in coincidenza della conferenza stampa a Montecitorio, “bisogna uscire da un equivoco: lavorare più ore non significa necessariamente essere più produttivi. Anzi. E’ la qualità dell’occupazione (da migliorare attraverso investimenti in ricerca, sviluppo e formazione continua) a far crescere la competitività del sistema e il valore aggiunto, ingredienti fondamentali per un’economia come quella italiana”.
COSI’ FANNO AL NORD EUROPA (E IN GRECIA)
Nella logica grillina, “i Paesi europei in cui si lavora meno sono quelli ricchi del Nord Europa. Un greco lavora il 50% in più di un tedesco, tanto per fare un esempio. I costi di avvio della riduzione degli orari di lavoro, sono in genere limitati per lo Stato. In Francia le 35 ore sono costate circa un miliardo l’anno, mentre in Italia stiamo spendendo, per la decontribuzione dei neoassunti con l’inutile Jobs act, almeno 18 miliardi in tre anni”.
EVITARE LE TRAPPOLE (E SINDROMI CINESI)
Per Tiziana Ciprini però, deputata pentastellata, bisogna fare attenzione. A non cadere nelle “trappole del neoliberismo”. Cioè? “L’orario di lavoro è fermo dal 1969 quando si è passati da 48 ore settimanali alle 40 attuali. Non è nostra intenzione far saltare l’orario di lavoro, legandolo solo alla produzione: siamo consapevoli delle trappole del neoliberismo, non vogliamo tornare al lavoro a cottimo. La frase ‘lavorare meno lavorare tutti’ è già un dato di fatto nei Paesi del nord, noi vogliamo applicarla anche in Italia”. Dunque, per i grillini, ridurre le ore non vuol dire far saltare le regole del banco. Semplicemente si ridisegna un assetto, con delle regole seppur diverse da quelle attuali.
STOP AI SINDACALISTI IN CARRIERA
L’altra macro-questione è quella dei sindacati, che i grillini vogliono mettere alle strette. Attenzione, Di Maio ha chiarito che “non immagino un’Italia senza sindacati”. Per il vice presidente di Montecitorio “il modello sindacale non rappresenta più i lavoratori ma i propri privilegi e si è fatto casta”. Quindi il futuro (forse) governo pentastellato proverà a “eliminare le distorsioni dai privilegi sindacali, in alcuni casi peggiori che nei partiti. Porteremo avanti iniziative legislative perché i lavoratori possano contare per partecipare alla vita aziendale”. Di Maio non ha esitato a fare nomi e cognomi di chi, a suo dire, è un sindacalista di carriera. “Uno dei nostri obiettivi è eliminare i sindacalisti carrieristi, magari introducendo un periodo di decantazione tra l’attività nel sindacato e il successivo ruolo. Non è un caso che alcuni sindacalisti te li ritrovi in Parlamento, come Teresa Bellanova (viceministro allo Sviluppo), Valeria Fedeli (ministro dell’Istruzione) e Pier Paolo Baretta (sottosegretario al Mef). Noi vogliamo mettere in discussione il fatto che un sindacalista possa entrare in Parlamento o in un Consiglio di amministrazione dalla sera alla mattina”.
PIU’ UTILI PER I LAVORATORI
Un altro tema che ha ottenuto il via libera degli iscritti è la possibilità di inserire rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione per discutere la strategia e le risorse aziendali nonché la facoltà di poter partecipare agli utili dell’azienda. Tutto per “poter dire la propria su come è organizzato il lavoro anche attraverso proposte e suggerimenti di cui il management deve tenere conto. Avere spazio di scelta sul proprio orario di lavoro e avere dei rappresentanti eletti direttamente da tutti i lavoratori per la gestione quotidiana dei problemi organizzativi con l’azienda”.