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Vi racconto la Pasqua vegetariana di Silvio Berlusconi

Questa è la prima Pasqua vegetariana di Silvio Berlusconi, alla bella età di 80 anni compiuti nell’autunno scorso. Un’età alla quale i comuni mortali si sentono più attaccati alle origini e alle abitudini ricordando gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza, della maturità, tutti trascorsi dall’uomo di Arcore festeggiando a tavola la Pasqua con l’agnello ben cotto e saporito, senza pensare un attimo alla strage che aveva precedere il rispetto di quella tradizione.

Ma Berlusconi, si sa, è Berlusconi. Il suo mestiere è sorprendere. E’ saperti vendere anche quello che non avevi mai immaginato di poter desiderare, ed anche quello che lui non avrebbe da venderti, ma è ugualmente capace di farti sognare, di farti ritenere a disposizione pur non disponendone, appunto. E’ come la famosa rivoluzione liberale da lui promessa scendendo in campo 23 anni fa: non a San Siro con il suo bel Milan, prima che gli venissero gli occhi a mandorla, ma in Parlamento con Forza Italia. Una rivoluzione però impeditagli -ha spiegato più volte- da alleati troppo riottosi e da un elettorato troppo avaro. Che non ha mai regalato a lui solo il 50 per cento più uno dei voti. E tanto meno potrà regalarglielo adesso che lui stenta, poco sopra il 12 per cento delle “intenzioni di voto”, a tenere testa ai leghisti di Matteo Salvini, per rimanere nel campo che fu il centrodestra e non affacciarsi altrove, dove ci sono Matteo Renzi finalmente liberatosi di Massimo D’Alema e compagni e quell’istrione di Beppe Grillo. che paradossalmente più stranezze compie e più voti prende, sin a far sognare Palazzo Chigi a uno come Luigi Di Maio, il giovanotto della congiuntivite.

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Costretto, magari a sua insaputa, come capita sempre più di frequente in Italia alle categorie più diverse, dagli acquirenti di case scontate alle Procure entrate in conflitto fra di loro, a inseguire Grillo sulla strada delle sorprese, il povero Berlusconi si è fatto recentemente convincere dalla sua amica Michela Vittoria Brambilla, con la complicità della fidanzata Francesca Pascale, a diventare “il signore degli agnelli”. Così lo ha recentemente e felicemente definito Enrico Mentana in una intervista a Repubblica avvertendo sia Grillo sia Matteo Renzi a stare attenti a non regalargli la prossima vittoria elettorale, a furia di litigare furiosamente tra di loro.

Da ciò si potrebbe maliziosamente dedurre che l’ex direttore del berlusconiano Tg5, ora giornalista di punta dell’artiglieria editoriale di Urbano Cairo, considera Grillo e il Pd tutto sommato compatibili. Era anche la convinzione di Pier Luigi Bersani già nel 2013, quando tentò di ottenere un aiutino dai grillini per il suo governo “di minoranza e di combattimento”, prima che l’allora presidente della Repubblica non gli togliesse prudentemente l’incarico. Ed è tuttora la convinzione di Bersani, che però nel frattempo ha dovuto cambiare partito e rovesciarne la sigla in Dp, alla maniera di Mario Capanna del lontano 1984. Tutto torna e si ripete maledettamente nella politica italiana.

Il “signore degli agnelli” non fa mai nulla a caso e per niente, neppure quando si mette in bella posa ad allattare “Fiocco di neve” prima di lasciarlo sul prato di Arcore a giocare con gli altri quattro colleghi adottati. Berlusconi -fidatevi di uno che lo ha ben conosciuto e vi ha anche lavorato- è imbattibile nel campo della pubblicità o. se volete, della promozione. Lui gli spot se li produce e se li diffonde da solo, senza spendere un centesimo. Si è fatto rapidamente i conti e si è convinto che quella foto lì valeva più di un comizio, più di un collegamento telefonico ad un convegno dove, magari, aveva promesso di andare decidendo alla fine di omaggiate gli amici di una telefonata incoraggiante e benedicente. Che poteva e doveva bastare.

Quell’agnellino, quel fiocco di neve fuori stagione pesava, nei calcoli di chi lo allattava, o solo fingeva di farlo, più di quattro scatoloni messi insieme e pieni di schede elettorali con la croce sul simbolo di Forza Italia. Ma le schede per ora se le tiene tutte, intonse e ben chiuse nei magazzini metaforici del Quirinale, il presidente della Repubblica. Che non vuole saperne di rimandarci alle urne, per quanti fastidi possa procurare anche a lui questa lunghissima ed esasperante campagna elettorale in corso dal 4 dicembre. Puntualmente sono tuttavia arrivate la cronache e i fumetti dell’inedito Berlusconi animalista che fa strage di cuori e di voti femminili, essendo certo che la maggior parte delle donne italiane siano infelici e preferiscano gli animali ai mariti. Sì, ho letto anche di questo sugli immaginifici giornali italiani che si avventurano nelle analisi politiche con simili baggianate.

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Ci sono donne per nulla infelici di una unione scoppiata perché sempre fiduciose di metterne su un’altra migliore, senza bisogno di cambiare genere, rimanendo cioè al livello degli uomini e non scendendo a quello dei cani, dei gatti e degli agnelli.

Ci sono donne politicamente tanto fedeli al loro leader di turno da clonarne partiti, associazioni e quant’altro per farlo sentire più a suo agio, e più dominatore. E’ il caso di Daniela Santanchè, che ormai si chiama e si lascia chiamare “la Santa”, rigorosamente laica, s’intende. E che ha appena annunciato la costituzione di “Noi repubblicani”, un’associazione per ora, di stampo un po’ trumpiano, da Donald Trump, il nuovo e sempre più imprevedibile presidente degli Stati Uniti. Che la Santa ha avuto modo di conoscere negli anni passati a Milano, dove il riccone americano osava mettere piede senza che venisse a saperlo Carlo De Benedetti, convinto -come lo stesso ingegnere ebbe a dire nel salotto televisivo di  Lilli Gruber pochi giorni prima delle elezioni in Usa- che dell’Italia quell’uomo dal ciuffo arancione conoscesse solo Capri, e in cartolina. Invece, no. Il riccone non solo fu eletto, ma conosceva la città della Madonnina, davvero, non in cartolina. E, con la Madonnina, la Santa: tra colleghe, si sa…

A cosa possano o debbano servire i “Noi repubblicani” della deputata azzurra è stata lei stessa a spiegarlo dicendo che possono funzionare da stimolo a Forza Italia. Ed anche da guardiani, pronti a diventare un partito per rendere più vario e appetibile lo schieramento complessivo di quello che fu il centrodestra. Tanto, provvederebbe sempre lui, Berlusconi, a mettere tutti insieme al momento giusto.

A sua insaputa, pure lei, la Santa è diventata morotea, essendo nota l’abitudine di Moro di scomporre via via le cose all’interno della Dc per poterle poi ricomporre in modo diverso. Solo che Moro era Moro, La Santa è la Santanchè. E Berlusconi è Berlusconi, per quanto promosso da Mentana a signore degli agnelli.

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