A leggere la sua biografia si scopre che Luigi Di Maio, l’enfant prodige del M5S, non è laureato. Dopo il liceo classico (questo va a suo credito) all’università di Napoli (il prestigioso Ateneo intitolato a Federico II) si era iscritto in Ingegneria, ma aveva ben presto cambiato Facoltà passando a Giurisprudenza. Tuttavia l’impegno nel movimento degli studenti, prima; l’incontro fatale con il “grillismo” poi (insomma il ragazzo ha sempre fatto solo politica), lo hanno convinto a mettere da parte le Pandette (con grande vantaggio per il suo cursus honorum). Non sappiamo se avesse sostenuto degli esami – e quanti – nella nuova Facoltà. È certo comunque che tra questi mancava diritto sindacale. Altrimenti non si sarebbe accodato alle teorie di Giorgio Cremaschi sui temi della rappresentanza e della rappresentatività, come regolati da un martoriato articolo 19 dello Statuto. In tutti gli ordinamenti sindacali dei Paesi civili esistono delle regole e delle procedure che stabiliscono “chi rappresenta chi”. Le istanze sindacali, che superano questo esame, trattano con le controparti; le altre stanno a guardare.
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I pentastellati si dichiarano sostenitori della piccola impresa e dell’artigianato, tanto da tagliarsi l’indennità parlamentare per incrementare un fondo a favore di questi soggetti economici. Poi affidano a Giorgio Cremaschi il compito di elaborare le politiche del lavoro. Non sanno che, se lo venissero a sapere, i loro protetti rinuncerebbero ai pochi spiccioli ricevuti. Come fece Pietro Nenni quando restituì il Premio Stalin.
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Nel suo ultimo libro (Sinistra e popolo. Ed. Longanesi) un saggista intelligente e brillante come Luca Ricolfi accusa la sinistra di essere ormai insensibile al “grido di dolore” del popolo, sottovalutandone le paure e le preoccupazioni, fino al punto di non fornire adeguate risposte come se i problemi sollevati non esistessero o non fossero gravi. Se abbiamo ben compreso il pensiero di Ricolfi, le èlites sono convinte che il popolo sbagli. È scritto, infatti, in una breve presentazione del saggio: “Ovunque in Occidente il popolo cerca protezione dalle conseguenze della crisi e dalle fragilità dello scenario globale, ma la sinistra inevitabilmente impegna le sue energie per sminuire i problemi che gli elettori percepiscono come principali: disoccupazione, politiche di austerità, immigrazione, terrorismo. Se dunque, al di qua quanto al di là dell’Atlantico, i cittadini alzano aggressivamente la testa nei confronti di una sinistra impotente quando non addirittura cieca di fronte all’onda montante di paura che li travolge, non è così strano che il populismo si proponga come risposta, per quanto sommaria e inadeguata, alle angosce del presente’’.
Con tutta la stima che provo per Ricolfi non sono d’accordo con queste valutazioni. Democrazia non significa fare ogni cosa che il popolo chiede, anche quando essa più ancora che sbagliata è inutile, non conveniente o addirittura impossibile. Non si vince il populismo inseguendolo su di una strada che non porta da nessuna parte. Se Ponzio Pilato si fosse avvalso dei suoi poteri e non avesse messo ai voti la grazia per Gesù o per Barabba, non ci sarebbe stato il disonore del Golgota. Sono le minoranze illuminate che fanno la storia, non quei “signori nessuno” che, in diecimila, pretendono, con un clic, di capovolgere la nostra politica estera ed il sistema di alleanze a cui l’Italia appartiene da settant’anni. Infine, esiste una sola risposta dei movimenti populisti alle angosce del presente che sia adeguata a risolvere i problemi?
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“Il trionfo delle demagogia è momentaneo, ma le rovine sono eterne.” (Charles Pèguy)
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Un’altra persona, con l’aiuto di Mina Welby e di Marco Cappato, si è recata in Svizzera per sottoporsi all’eutanasia. Prenderò contatto con i due “spalloni della morte” per prenotare una serena fine assistita, nel caso che le prossime elezioni dovessero essere vinte dal M5S. Sono ormai troppo vecchio per passare in clandestinità. E per continuare a vivere sotto un regime autoritario/savonaroliano.
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La Pasqua ebraica trasmette la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Ma prima di raggiungere la Terra promessa il popolo di Dio trascorse quarant’anni nel deserto.