Pubblichiamo l’analisi uscita sul numero di aprile della rivista Formiche
Una riflessione sulla questione energetica e le problematiche di approvvigionamento richiederebbe una sostanziale depoliticizzazione delle argomentazioni. E per fare ciò c’è bisogno di dare qualche numero. A livello di Ue a 28 la domanda attuale di gas è vicina a 400 miliardi di metri cubi all’anno. Negli ultimi due anni i consumi sono lievemente cresciuti; ma nei dieci anni precedenti (2005/2014) erano scesi di oltre il 20%.
Per il futuro, l’Aie proietta una sostanziale stabilità dei consumi europei, con un rialzo del fabbisogno d’importazione determinato soprattutto dal calo della produzione interna. Il gas non ha la liquidità del petrolio, e il suo trasporto è subordinato alla disponibilità di infrastrutture (gasdotti, impianti di rigassificazione, ecc.) di non immediata realizzazione. Il tema è dunque innanzitutto di capire se e come siamo attrezzati alla futura domanda d’importazione. Sembrerebbe di sì.
Per l’Europa l’Aie stima per il 2030 un bisogno di importazione dell’ordine dei 380 miliardi di metri cubi/anno di gas naturale. L’infrastruttura attuale ha una capacità d’ingresso di 723 miliardi: più del doppio rispetto alle necessità stimata da qui a 15 anni. Una ridondanza eccessiva che determina, a prima vista, una non necessità d’investimenti pubblici in sicurezza. Alla ridondanza si affianca, però, l’imperfetta integrazione della rete di trasporto europea e, dunque, la difficoltà di circolazione del gas in Europa. Alcune delle capacità di ingresso non sono, se non minimamente, collegate agli altri Paesi. Il caso più eclatante è quello della penisola iberica: una capacità di rigassificazione pari a 65 miliardi di metri cubi di gas naturale equivalente all’anno e una capacità di riesportarne (attraverso i Pirenei) solo 7. Abbiamo costruito un sistema che rende (tecnicamente) quasi più facile reimportare dalla Germania il gas russo in Russia, che non esportarlo dalla Spagna in Francia e nel resto d’Europa.
Altro tema è quello dell’affidabilità degli attuali fornitori; qui non sotto il profilo politico, bensì sotto quello della loro capacità produttiva. In Norvegia e Olanda vi è un sostanziale declino della produzione. Per l’Algeria è possibile crisi annunciata; e la Libia non dà certezze (peraltro per instabilità politica). Dando uno sguardo ai tubi che, in modo più o meno diretto, portano gas in Italia, ci rendiamo conto che la Russia è l’unico dei nostri attuali fornitori ad avere una capacità produttiva e infrastrutturale tale da garantire un rifornimento stabile e, in caso, crescente nel medio/lungo periodo.
La dipendenza dalla Russia. Se c’è non ha comunque ragioni infrastrutturali. Abbiamo capacità d’ingresso sufficiente a farne a meno. Negli ultimi anni i volumi di gas importato dalla Russia sono stati costantemente inferiori alla capacità di rigassificazione inutilizzata dell’Ue. In media usiamo i rigassificatori al 20% delle loro potenzialità. Dipende da questioni politiche o, forse, dal fatto che il gas dalla Russia costava (marginalmente) meno del Gnl (gas naturale liquefatto)? La presunta dipendenza a volte identifica un segnale di prezzo.
Infine la transizione energetica – dalle fonti fossili a quelle meno inquinanti – non potrà mai avvenire in tempi non biblici per solo mercato. Solo la politica, con il suo armamentario di incentivi, tributi e divieti, può renderla possibile nei tempi di Cop21. Per la prima volta nella storia si sta passando da una fonte a maggiore densità energetica a una inferiore. Al netto di un grande salto tecnologico, potremmo trovarci ad affrontare qualche problema di produttività e di generazione di ricchezza dovuta alla decadenza energetica delle risorse di base. È un processo che va governato.
Inoltre, in un processo di transizione energetica non cambia solo la fonte, ma anche i mezzi di sua trasformazione (dal motore alla turbina). Ciò significa che c’è bisogno di tempo per giungere a un’effettiva transizione in termini di utilizzo. Quello che accade per la diffusione dei veicoli elettrici ne è un buon esempio. Nel breve periodo, più che dalla transizione, possiamo aspettarci un contributo significativo al minor consumo di fossili dall’approfondimento di prassi per una migliore efficienza energetica. Probabilmente, è più intrigante parlare di solare piuttosto che di efficienza energetica. Ma è quest’ultima che può darci risultati significativi in tempi ragionevoli. Per una buona politica è importante spingere sui temi legati alla ricerca e allo sviluppo di forme di recupero dell’efficienza. L’investimento di denaro pubblico per incentivare le produzioni rinnovabili non è stata nel nostro Paese un esempio di spesa efficiente. Puntare sull’efficienza energetica, se fatto in modo selettivo, lo sarebbe molto di più. Così come lo sarebbe, in parallelo l’uso di risorse che, anziché incentivare l’installazione, finanzi ricerca e sviluppo di tecnologie (in primis quelle di accumulo) che ci consentano di accelerare e rendere economicamente sostenibile la transizione.