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Che cosa ha deciso davvero Trump sulla politica commerciale

trump, dollari

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato venerdì 31 marzo due ordini esecutivi che chiedono alle agenzie competenti di rivedere la politica commerciale americana. Attualmente infatti gli Stati Uniti importano più di quanto esportano, per un valore complessivo di 500 miliardi di dollari all’anno.

I PROVVEDIMENTI

Il primo provvedimento ordina che nel giro di 90 giorni venga consegnato sul tavolo dello Studio Ovale un’analisi approfondita per comprendere da dove nasce e come può essere curato quello sbilancio commerciale, paese per paese. Su questo poi lavorerà l’amministrazione (impegnando vari dipartimenti, dal Tesoro agli Esteri, fino alla Difesa) per portare l’import/export in equilibrio: è in corso “una guerra commerciale” ha commentato il segretario al Commercio Wilbur Ross. Il secondo invece ha valore più immediato e operativo, perché chiede alle agenzie di inasprire il controllo sul dumping, termine con cui si indicano diverse pratiche commerciali, dalla vendita sotto-costo (cioè a prezzi inferiori rispetto al costo di produzione), agli aiuti di Stato, utilizzate per mantenere i prezzi artificialmente bassi – tra questi anche le politiche di svalutazione monetaria competitiva.

NECESSITÀ E VOLONTÀ DI RI-BILANCIARE…

Al di là degli annunci “America First” e “Make America Great Again”, slogan da campagna elettorale tirati in ballo dalle analisi su queste decisioni che diversi giornali definiscono “protezionistiche”, dietro alla mossa c’è anche una realtà abbondantemente nota, con una critica implicita e indiretta sia al Wto che alla burocrazia Usa che si occupa di questioni commerciali. Trump è incarnazione delle volontà, e necessità, americana di riequilibrare la propria forbice commerciale, e più in generale il proprio ruolo globale – una necessità che gli Stati Uniti sentono da anni. Formiche.net (anche grazie alle analisi del professore Carlo Pelanda) ha più volte sottolineato che il riequilibrio, il ri-bilanciamento, saranno, adesso, la stella polare nell’azione di governo dell’amministrazione Trump.

… E QUALCHE ESEMPIO

Per esempio, è in quest’ottica che può essere letto il ritiro degli Stati Uniti dai trattati sul Tpp, una scelta per sottrarre Washington dai trattati multilaterali per preferire un più maneggevole bilateralismo: non a caso il premier giapponese Shinzo Abe s’è recato alla Casa Bianca con in dote investimenti economici che hanno come fine ovattare lo sbilancio economico con l’America. Il Giappone è infatti uno dei paesi che beneficiano del più alto attivo commerciale con gli Stati Uniti, insieme a Corea del Sud, Messico, Germania e Cina. E non è un caso se Berlino è finita nel mirino di vari attacchi che hanno avuto come tema la politica economico-monetaria tedesca. Da questo genere di ragionamento non è immune nemmeno l’Italia, per dire, che ha chiuso il 2016 con un saldo commerciale positivo con gli Stati Uniti per un valore di circa 23 miliardi di euro, su un totale di 39,9 per quel che riguarda l’export extra-europeo: questo significa che l’export americano rappresenta il 60 per cento dello sbilancio commerciale a favore dell’Italia.

DUMPING E…

Continuando con gli esempi: un caso di dumping piuttosto importante riguarda l’acciaio cinese, prodotto da aziende statalizzate che mantengono prezzi molto bassi (inferiori alle produzioni) che hanno prodotto la flessione del mercato americano. La questione era già in cima alla lista degli attriti Usa-Cina ai tempi di Barack Obama, l’ex segretario al Tesoro Jack Lew si era espresso con durezza contro Pechino, e l’amministrazione addirittura nel marzo del 2016 aveva deciso di colpire con dei dazi del 266 per cento alcune compagnie produttrici cinesi. Non è un caso (di nuovo) se Trump aveva sottolineato che la riapertura dei progetti Keystone XL e Dakota Access, due pipeline precedentemente contestate fino al blocco dei lavori, avrebbe significato anche l’impiego di acciaio americano per la costruzione delle linea (anche se non è proprio vero). Sui media viene piuttosto sottolineato come sia proprio la Cina l’obiettivo nemmeno troppo velato degli ordini esecutivi di Trump.

… CINA

L’esplorazione sui problemi commerciali americani ordinata dal presidente venerdì, infatti, arriva alla vigilia della visita di Xi Jinping, il capo di stato cinese, alla guida della più grande potenza esportatrice del mondo, sarà alla Casa Bianca Floridian (il ritiro presidenziale di Mar-a-Lago, in Florida) il 6 e il 7 aprile. (Non è un caso?).

Il New York Times dice che Trump, per “l’ambizioso piano” di “riscrivere il mercato americano”, si sta ispirando a Pechino: “Un approccio che potrebbe comportare barriere più alte per le importazioni e che finirebbe lo status decennale dell’America come economia più aperta al mondo”.

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