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Perché Trump non va sottovalutato sulla difesa

Trump è alla vigilia dei suoi primi cento giorni e la sua presidenza, per quanto ancora alle battute iniziali, non manca di essere controversiale. Se il bilaterale con il presidente del Consiglio italiano è andato molto bene (è stata la prima volta in cui Trump ha rilasciato dichiarazioni “europeiste”), non sono mancate le polemiche dopo la rivelazione che la Casa Bianca avrebbe “imposto” al nostro Paese un impegno molto più gravoso in termini di spese per la difesa. Il messaggio nella realtà non è affatto diverso da quello lanciato in ripetute occasioni anche da Obama.

Il nuovo presidente su questo punto, quello del ribilanciamento dell’Europa nella Nato, vuole essere se possibile ancora più netto. Il suo ragionamento, anche a valle dell’incontro con Paolo Gentiloni, ha infatti molti obiettivi. Da un lato, chiarisce che ha ottime relazioni con tutti i leader che riceve nello Studio Ovale e che nessun giornalista lo fa mai notare. Dall’altro, quando spiega che l’Italia pagherà la sua parte, si rivolge al suo pubblico americano e fa capire che i leader europei lo seguiranno sul tema. “Questa presidenza è diversa”, è il suo mantra.

La posizione ufficiale del nostro Paese è sul tema chiara e lineare. L’Italia ha sempre condiviso la necessità di un’equa ripartizione degli oneri per la sicurezza e difesa collettiva tra tutti gli alleati della Nato. Nel limite delle sue possibilità, infatti, ogni alleato deve fare la sua parte non solo per colmare le carenza militari esistenti, ma anche per renderle disponibili, quando necessario, per le operazioni dell’Alleanza. La sfida resta quella di migliorare anche l’aspetto quantitativo dell’investimento per la difesa. Ad oggi infatti le spese reali ammontano a circa 1,12% rispetto al Pil e comprendono però tutte i costi imputati al ministero della difesa, incluso il capitolo (non irrilevante) dei Carabinieri che però è davvero molto difficile spiegare come possa essere considerata una spesa strettamente legata alla difesa.

L’obiettivo di investire almeno il 2% del Pil è chiaramente un obiettivo lontanissimo ed è difficile immaginare che Trump possa davvero attendersi un raddoppio delle spese italiane. Tuttavia, governo e parlamento commetterebbero un grande errore nel sottovalutare l’importanza di maggiori investimenti per la sicurezza internazionale. L’Europa e l’Italia stessa sono al centro di diversi scenari di crisi che mettono in serio pericolo la stabilità delle aree ai nostri confini meridionali ed orientali. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha già dimostrato che non riuscirà, come Obama, a disingaggiare gli Stati Uniti rispetto al loro ruolo guida a livello globale.

Allo stesso modo, però, Washington non è più disponibile a farsi carico di tutti gli oneri. Questo per l’Europa significa maggiori responsabilità e maggiori costi. La Germania ha però già colto che proprio nella difesa vi è l’opportunità di costruire un ruolo più rilevante nella politica estera (e in quella industriale). In una fase storica come questa di grande e crescente instabilità, anche per l’Italia si tratterebbe di mettere da parte la retorica anti Nato, anti F-35, anti industria della difesa, e invece rilanciare. Non nell’ottica delle maggiori spese per la finanza pubblica, ma con l’obiettivo di realizzare investimenti che possano dare risultati sia in termini di sicurezza e relazioni internazionali che in termini di crescita economica. Trump ha lanciato un sasso che forse sarebbe utile non lasciare affondare nello stagno della politica italiana.



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