Niente Cina, Russia o Emirati Arabi, stavolta i conquistatori arrivano dalla Svizzera italiana. Da Lugano per la precisione. E’ di pochi giorni fa la notizia che Sider Alloys, gruppo dei metalli e del trading di materie prime con sede a Lugano, ha presentato ufficialmente al governo la sua offerta per il rilancio di Portovesme, il sito industriale nel sud della Sardegna (Carbonia), chiuso dalla multinazionale dell’alluminio Alcoa nel 2014 e da quel momento in stato di semi-abbandono. Gli impianti però erano fermi dal 2012. Questa mattina i vertici della società svizzera hanno deciso di scoprire ulteriormente le carte, incontrando i giornalisti a Roma, presso l’Hotel Nazionale, per illustrare nei dettagli la loro proposta e aumentare il pressing sull’esecutivo.
CHI E’ SIDER ALLOYS
L’uomo della (possibile) rinascita di Portovesme si chiama Giuseppe Mannina, imprenditore siderurgico di lungo corso (ha iniziato nel 1976, a 23 anni), con un’esperienza ventennale nella vecchia Finsider e successivamente presso alcune aziende russe, tra cui Evraz. Mannina è ceo di Sider Alloys, gruppo da 700 milioni di ricavi fondato nel 2011 e presidente di Trasteel, azienda tornata alla ribalta per aver partecipato al tentato salvataggio dell’Ilva di Taranto. “Credo di avere tutte le carte in regola per rilanciare questo sito”, ha esordito Mannina, cittadinanza italiana e svizzera: “Qui non serve una multinazionale, ma un’azienda diversa, come Sider Alloys, più a misura di un sito come Portovesme. Per noi sarebbe il primo investimento diretto in Italia”. A questo punto sorge spontaneo chiedersi, cosa c’è davvero sul tavolo del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda?
LA PROPOSTA SVIZZERA
Ai primi di marzo il gruppo di Lugano ha formalizzato la sua offerta, diventando il primo acquirente del sito, visto che l’anglo-svizzera Glencore aveva tentato solo timidi approcci nel 2012, salvo poi ritirarsi a causa di un costo dell’energia definito troppo alto. Con Alloys arriva dunque la prima vera offerta dalla fermata degli impianti nel novembre 2012 e da quando gli operai – 420 diretti e 350 degli appalti – si sono ritrovati senza un lavoro. La società elvetica ha mantenuto gli impegni presi visto che lo scorso 10 gennaio scorso ha siglato un accordo preliminare con Invitalia, dove si impegnava a formulare una proposta a stretto giro. Che alla fine è arrivata.
IL PIANO DI RILANCIO
Sul piatto ci sono oltre 100 milioni di euro, per far ripartire lo stabilimento della multinazionale di Pittsburgh entro 18-24 mesi, e riassorbire un massimo di 400 lavoratori. “Se la nostra offerta dovesse essere accettata stimiamo una ripresa della produzione al 30% entro otto mesi, del 100% entro 18-24 mesi“, ha spiegato Mannina. “Portovesme ha una capacità produttiva massima di 150 mila tonnellate all’anno” di alluminio e “noi crediamo di avere le possibilità per far ripartire questo importante polo della siderurgia”. Ma il boccino lo ha in mano il governo, visto che è il regista dell’intera operazione di cessione Alcoa-Sider Alloys. E i problemi non mancano.
CALENDA TENTENNA
Il governo però, nonostante gli entusiasmi svizzeri, sembra andarci coi piedi di piombo. Pochi giorni fa dal Mise è filtrato lo slittamento al 14 luglio della valutazione finale dell’offerta. “Noi ci aspettiamo ovviamente che prima di quella data il governo ci dia delle indicazioni di massima”, ha tenuto a precisare Mannina. In realtà il governo vuole capire meglio l’effettiva sostenibilità dell’operazione da parte dell’azienda di Lugano. Calenda vorrebbe chiudere in fretta, ma è molto probabile che chieda a Sider Alloys di riformulare l’offerta. Dalle indiscrezioni sarebbero da riscrivere le parti che riguardano il trattamento fiscale degli utili di impresa e il profilo previdenziale dei dipendenti. Obblighi che, stando al documento di Sider Alloys, resterebbero implicitamente a carico dello Stato italiano. Mannina ha comunque ammesso che qualche intoppo c’è stato. “Ci sono stati chiesti dei chiarimenti e noi li abbiamo forniti. In questi giorni stiamo incontrando i tecnici del ministero”. Ma c’è un altro problema.
LA QUESTIONE ENERGETICA
A preoccupare gli svizzeri c’è soprattutto il costo dell’energia per alimentare gli impianti, che non deve impattare eccessivamente sui costi, rendendo poco profittevole l’intera operazione. “La questione dell’energia è essenziale, senza un accordo su questo l’intero nostro investimento non ha più senso”. In effetti nel 2012 Glencore aveva steso addirittura un memorandum, chiedendo energia a 25 euro a megawattora per dieci anni in regime di super-interrompibilità, per poi lasciare la partita. “Noi chiediamo semplicemente un costo dell’energia concorrenziale, in linea con gli altri Paesi, in Germania si pagano 19 euro per megawatt ora”. Compito non facile per un Paese, l’Italia, tra i più dipendenti in termini energetici al mondo. Un ultimo ostacolo riguarda il dragaggio del porto antistante lo stabilimento. “Abbiamo bisogno di navi da 50 mila tonnellate di stazza per portare le materie prime da lavorare, l’attuale pescaggio consente l’ingresso a navi solo da 10 mila tonnellate. E’ un’operazione tutta ancora da effettuare”.