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Come fare la guerra a Isis? Obiettivi e discussioni nella Nato e fra i Grandi

Alleanza

Il vertice della Nato del 25 maggio si fonderà inevitabilmente con il G7 di Taormina e dunque solo dopo la fine di quest’ultimo si potranno trarre conclusioni attendibili. Per il momento emergono un ruolo maggiore dell’Alleanza atlantica nella lotta al terrorismo ancora privo di dettagli, l’insistenza a tratti arrogante di Donald J. Trump sulla necessità che tutti i membri aumentino i fondi per la Difesa e numerosi interrogativi degli altri leader sul futuro dei rapporti con gli Stati Uniti.

Paolo Gentiloni in questi giorni sta dando fondo a tutte le sue arti diplomatiche: il presidente del Consiglio è d’accordo con un maggiore ruolo della Nato, ma “con prudenza”; bisogna “portare al livello più alto la lotta al terrorismo”, ma contro l’Isis non è sufficiente la dimensione militare se non è unita all’iniziativa politica; questo significa che sul tema dell’immigrazione bisogna sostenere economicamente i Paesi di provenienza, ma si rischia uno scontro con gli Usa che pensano soprattutto a fermare i flussi con le buone o con le cattive. Per non parlare della necessità di tenere aperto un canale di dialogo con la Russia, che sarà il convitato di pietra del G7.

La Nato, dunque, entra nella coalizione di Stati che combatte l’Isis “come membro a pieno titolo”, ha detto il segretario generale, Jens Stoltenberg, escludendo missioni di combattimento. Alla vigilia del summit Stoltenberg aveva anticipato un maggiore uso degli aerei-radar Awacs ed è possibile un’ulteriore attività di addestramento delle forze irachene, come sta già facendo in Afghanistan. Probabilmente nel nuovo ruolo dell’Alleanza rientra l’annunciata nomina di un coordinatore antiterrorismo, di pari passo con la nascita di una cellula di intelligence. Riesce comunque difficile capire come funzionerà questo coordinamento in un’Europa dove le agenzie di intelligence non si scambiano proprio tutte le informazioni come dovrebbero, dove non ci si parla neanche tra polizie dello stesso Stato (vedi la Francia) e dove non si prendono in considerazione le attendibili segnalazioni sui terroristi, com’è capitato agli inglesi che avrebbero potuto fermare Salman Abedi prima della strage di Manchester e non l’hanno fatto. Sarà da capire se di questo coordinamento farà parte o meno l’hub antiterrorismo annunciato nel febbraio scorso e che sarà creato nel comando congiunto di Napoli.

Gli investimenti sulla Difesa saranno oggetto di frizione ancora a lungo. Trump a Bruxelles ha detto che i membri Nato “finalmente devono contribuire nel modo giusto con la quota giusta rispettando gli obblighi finanziari” mentre 23 dei 28 Paesi non lo fanno “e questo non è giusto per il popolo e per i contribuenti degli Stati Uniti”. Al termine del vertice Stoltenberg ha ammesso che Trump è stato brusco e ha spiegato che tutti i membri faranno ogni anno un rapporto sui loro investimenti avendo come obiettivo quel 2 per cento che dovrebbe essere raggiunto entro il 2024. Come zuccherino per giustificare la posizione americana, il segretario generale ha ricordato che gli Usa hanno deciso di aumentare del 40 per cento le spese per le loro forze in Europa. Gentiloni ha confermato gli impegni sul tema ricordando allo stesso tempo che l’Italia è il quinto contributore dell’Alleanza e che i conti vanno fatti anche considerando le missioni internazionali. Le Forze armate italiane, infatti, hanno un migliaio di unità in Afghanistan e circa 500 in Kosovo e in entrambi i teatri sono al secondo posto, così come seguono solo gli Usa nell’impegno iracheno dove abbiamo 1.400 militari.

Le future azioni contro il terrorismo saranno sintetizzate nel documento di Taormina che Gentiloni proporrà al G7 per “portare la lotta al terrorismo al livello più alto”: si spera che il documento conclusivo faccia capire anche le modalità. Sulla stessa posizione il premier britannico, Theresa May, a maggior ragione dopo quanto accaduto a Manchester. Nonostante sia un tema più da Unione europea che da G7, non è escluso che a Taormina il neopresidente francese, Emmanuel Macron, avanzi la proposta di una task force europea anti Isis di cui ha parlato il 24 maggio visitando l’ambasciata britannica a Parigi dopo l’attentato. Macron sa che nel suo Paese le informazioni non circolano e infatti entro il 7 giugno (cioè alla vigilia delle elezioni legislative) vuole che sia creato un centro di coordinamento antiterrorismo. Allo stesso modo ipotizza una task force che coordini i servizi segreti europei, argomento rilanciato più volte dalla strage di Charlie Hebdo in poi.

Infine, molti dubbi restano su quali saranno le conclusioni del G7 sull’immigrazione, fenomeno che tocca direttamente soprattutto l’Italia, ma che è fattore di destabilizzazione per una larga parte del continente africano. Il messaggio che l’Italia vuole far passare è che aiutare economicamente i Paesi di provenienza non significherebbe solo frenare i flussi, ma anche contribuire a consolidare certe aree rendendole in prospettiva meno fertili per il terrorismo. Il rischio è che altri non siano d’accordo.

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