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Con Trump o con Merkel? Il dilemma dell’Italia

lorien, Tallinn

Con Trump o con la Merkel? Il G7 di Taormina ha messo l’Italia in modo chiaro ed evidente di fronte a questo dilemma. Scomodo diplomaticamente e pericoloso politicamente anche sul piano interno. L’Italia dei “due forni”, quella della dottrina andreottiana che funzionava anche durante la guerra fredda quando il dilemma era capitalismo o comunismo, democrazia o dittatura (anzi allora in modo particolare), è costretta a scegliere.

Volendo essere cerchiobottisti si potrebbe dire: con la Merkel sugli immigrati e sul clima, con Trump sul terrorismo e sulla Russia. Ma sarebbe una ipocrisia bella e buona. A questo punto sulla scena internazionale è chiaro che ci sono due personalità contrapposte sia sul piano dei principi sia su quello delle politiche concrete.

Durante la crisi economica l’Italia ha usato gli Stati Uniti per controbilanciare le rigidità tedesche e mettere a tacere chi voleva metterci fuori dalla porta insieme ai greci. Ma alla Casa Bianca c’era Barack Obama. Oggi non esistono più sponde, Donald Trump non si è messo nemmeno l’auricolare per ascoltare quel che aveva da dire Paolo Gentiloni.

Si sarebbe tentati, a questo punto, di allinearsi alla Germania sulle questioni chiave. Ma ciò richiede che l’Italia compia sforzi enormi proprio sul terreno in cui è più debole: il risanamento dei conti pubblici e il rilancio dell’economia, accettando la linea tedesca. Quella dell’austerità? No, come ha replicato polemicamente Wolfgang Schaeuble, quella dello sviluppo. Non c’è da farsi illusioni nemmeno su Emmanuel Macron: ha vinto promettendo ai francesi di stare nell’euro riformando la propria economia e rilanciando la relazione particolare con la Germania, non può non farlo.

Stretta la via diplomatica, impervia la via economica, sembra sbarrata la via politica. Chi volesse stare con la Merkel senza tentennamenti sarebbe impallinato a destra come a sinistra. Mettersi con Trump significa scegliere un populismo che certo non è domo, ma in Europa ha subito sconfitte forse decisive. Nessuna delle due opzioni è premiante sul piano elettorale. E’ vero che non si vince con la politica estera, ma per un Paese sospeso tra Europa e Africa, nel bel mezzo del collasso geopolitico e strategico del Mediterraneo, assediato da un ininterrotto flusso di battelli della speranza (o meglio della disperazione), la politica estera si fa immediatamente politica interna.

In questo scenario, chi rischia di più è Matteo Renzi. Lui che vorrebbe fare come Macron, cavalca il risentimento contro l’Unione europea, lamenta la solitudine dell’Italia messa in difficoltà non solo da Bruxelles, ma anche da Berlino, insomma usa argomenti propagandistici da populista, magari nel tentativo tattico di sottrarli al monopolio degli avversari. Così, tutti, a cominciare dai suoi elettori, si chiedono con chi sta, dove sta, qual è il posto che vuole per l’Italia e sotto quale sole.

Potrebbe dire che intende riservare all’Italia la posizione di cerniera tra Europa, Africa e America. Sarebbe un bel proposito, ma del tutto sovradimensionato. Per far questo, l’Italia dovrebbe presentarsi come un paese stabile politicamente e solido economicamente. Nessuna delle due condizioni è prevista per il momento. La nuova legge elettorale (stando a quel che si legge) non sembra in grado di realizzare la condizione politica e le misure di politica fiscale non rispondono alla condizione economica.

Dunque, sarebbe stato meglio se il G7 avesse saltato un turno e soprattutto se non fosse toccata la presidenza all’Italia. Non si possono muovere rimproveri a Paolo Gentiloni che ha fatto del suo meglio dimostrandosi un ospite cortese e un primo ministro competente. Ma le cose hanno preso il verso sbagliato. Con un presidente americano che non crede in nessun approccio multilaterale, è difficile tirar fuori un qualsiasi risultato decente. Peggio ancora con tre paesi paesi come Regno Unito, Francia e Germania, ancora in campagna elettorale. Per non parlare di un governo italiano nato transitorio, che si sente mancare la terra sotto i piedi. Detto questo, resta aperto più che mai il dilemma dal quale siamo partiti.

Le forze politiche che si preparano ormai allo showdown elettorale, hanno il dovere di presentare agli elettori una chiara prospettiva per il futuro, spiegando in quale contesto internazionale intendono collocare il paese, come stare in Europa e come nel Mediterraneo, quale rapporto con gli Stati Uniti e le altre grandi potenze, Russia e Cina. Siamo amici di tutti non è una risposta, è come dire non contiamo un acca. Il giorno dopo, è questo il lascito del summit di Taormina a un’Italia dilaniata che sembra aver fretta di andare alle urne soprattutto per rinviare le scelte più difficili a coloro che verranno.


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