Skip to main content

Che cosa (non) sa il Regno Unito dell’attentatore Abedi

corbin, theresa may, Brexit

Il Regno Unito ha alzato al massimo il livello di allerta terrorismo. “Critical” viene chiamato questo livello nella scala usata dalle forze di sicurezza britanniche, ed ha una definizione chiara: si teme che un nuovo attacco possa essere “imminente”. Dopo la strage di Manchester, rivendicata dallo Stato islamico, Londra valuta le circostanze: all’Arena colpita ci sono tre date del tour dei Take That (venerdì, sabato e domenica), che prevedono altri ‘tutto esaurito’; il 9 giugno ci saranno le votazioni, che come visto in Francia a inizio mese sono un contesto socio-temporale apprezzato dagli attentatori baghdadisti; venerdì 26 inizia il Ramadan, che i predicatori del Califfo indicano come periodo proficuo per compiere attacchi perché le preghiere dei fedeli spingeranno le anime dei martiri con più forza verso il paradiso.

level_terror_UK

PERCHÉ ALZARE IL LIVELLO

Il governo inglese ha fatto sapere che la misura “critical” è temporanea – in sostanza significa attribuire ai comandi militari poteri che prima gestiva la polizia. Ieri la columnist del Telegraph Allison Pearson diceva che sarebbe stato utile introdurre uno stato di emergenza più duraturo come in Francia, ma è stata criticata da chi contesta l’inefficienza di questi protocolli di sicurezza davanti a una minaccia impalpabile – ‘Proteggere con i soldati Picadilly Circus, in quanto obiettivo sensibile, è giusto, ma non si può mandare l’esercito in tutti gli innumerevoli soft target del territorio’, è in sintesi quel che pensano questi critici (cos’altro fare allora? Da capire). Magari il governo inglese però ha a disposizione informazioni di intelligence sulla possibilità di nuove azioni terroristiche. Da qui la domanda: l’attentatore ha agito da solo o era parte di un gruppo organizzato e inviato a colpire nel Regno Unito dalla leadership califfale? Amber Rudd, la ministro dell’Interno, ha detto che è facile che ci siano altre persone coinvolte.

C’È UN BOMBAROLO IN INGHILTERRA?

L’attentatore potrebbe aver usato solo una delle bombe preparate: come spiega Daniele Raineri, esperto di Stato islamico del Foglio, qualcuno in grado di confezionare ordigni efficaci potrebbe essere considerato “un asset” dal gruppo, e dunque utilizzato per una produzione in serie. Salman Abedi, ventidue anni, inglese di origini libiche, tifoso dei ManU, che ha colpito a Manchester aveva ricevuto la bomba come mezzo per il martirio, ma non l’aveva confezionata? Per questo l’allerta è salita? Perché il bombarolo ha preparato altri ordigni per altri attacchi?

MANCHESTER NEL MIRINO

Ci sono almeno 400 persone che sono tornate dal Medio Oriente e sono attenzionate dai servizi inglesi, perché sono tutti potenziali terroristi di ritorno. Su questo si basa una parte consistente delle attività di intelligence. Poi ci sono quelli come Abedi: conosciuti, ma non considerati centrali nel mondo radicale islamico inglese; persone schive, ma rispettose con i vicini, il padre di Abedi era noto nella moschea di Didsbury, di lui dicono che fosse contrario all’ideologia jihadista; il Guardian riporta la storia di un sermone severo tenuto dall’imam locale contro lo Stato islamico in Libia e Abedi, presente in moschea, che lo guardava in modo minaccioso. Salman potrebbe essere uno dei satelliti che orbitava attorno a una cellula inglese dell’IS, in coordinamento con la Siria? Non è ancora chiaro. A luglio del 2015 Mohamed Abrini, ricorda sempre Raineri, fu inviato a Manchester per un sopralluogo col quale avrebbe dovuto valutare la possibilità di compiere un attentato. A inviarlo fu Abdelhamid Abaaoud, che, ancora in Siria, coordinava già le operazioni del commando che poi avrebbe compiuto a novembre di quell’anno la strage del Bataclan a Parigi – quello stesso giorno i caccia americani decollati da una base inglese avevano ucciso in un bombardamento il capo di tutto il Califfato libico.

IL LINK LIBICO

Il Times ha aperto in prima pagina titolando “Libya Terror Link”: il giornale londinese racconta in un pezzo che Abedi avrebbe recentemente effettuato un viaggio in Libia. La fonte è un ex compagno di scuola che lo conosceva, i dettagli sono pochi; anche perché i media inglesi hanno scritto che alcuni famigliari, fuggiti da Gheddafi diversi anni fa, erano tornati nel paese. La domanda è: è andato in Libia per ricevere direttive sull’attacco?

In Libia la roccaforte locale dello Stato islamico che si trovava a Sirte è stata riconquistata da una campagna anti-IS ibrida simile a quelle siriane e irachene: gli Stati Uniti hanno fornito l’appoggio aereo e consulenza specializzata sul campo (insieme ad altri paesi occidentali, tra cui l’Italia), mentre le milizie misuratine che sostengono il governo onusiano hanno portato avanti la battaglia. Però il network baghdadista, seppur disarticolato, esiste ancora, e ora si muove nella clandestinità, con maggiore vocazione agli attacchi esterni. Questa persistenza è anche collegata all’instabilità politica del paese.

SI LAVORA ANCHE PER QUESTO

Il 23 maggio il generale che guida il comando-Africa del Pentagono, Thomas Waldhauser, era a Tripoli – la prima visita di un alto ufficiale americano dal 2014 – dove ha incontrato il wannabe-premier Fayez Serraj, che sta guidando il processo Onu per unificare il paese. I due, insieme all’ambasciatore americano per la Libia Peter Bodde, hanno discusso della possibilità di dare un update all’operazione Odyssey Lightning, quella che ha riconquistato Sirte.

africom_serraj

Sarà da chiarire se Abedi abbia viaggiato in Libia e per incontrare chi, ma è evidente che l’instabilità libica resta un problema di sicurezza europeo.


×

Iscriviti alla newsletter