Un coordinamento della Guardia costiera che comprenda le navi delle Ong per il fatto stesso che sono in mare e non solo dal momento del soccorso, una certificazione delle stesse Ong e un avvio delle indagini di polizia giudiziaria che coincida con l’inizio dell’attività di soccorso. Tre punti principali e altri a corollario costituiscono il nerbo della relazione della commissione Difesa del Senato, approvata all’unanimità, che conclude l’indagine conoscitiva sul contributo dei militari e sul ruolo delle organizzazioni non governative riguardo al flusso di migranti. Una relazione che in sostanza acquisisce i suggerimenti dei tre magistrati ascoltati (i procuratori di Catania, Siracusa e Trapani) e da cui emerge un punto fermo: non è consentita la creazione di corridoi umanitari da parte di soggetti privati, perché questo stanno facendo le Ong nel Mediterraneo. La relazione sarà inviata alle presidenze delle Camere, a quella del Consiglio e ai ministri dell’Interno, delle Infrastrutture e Trasporti, della Difesa e degli Esteri e di cui il governo non potrà non tenere conto.
UN RUOLO NON CONTEMPLATO DALLE CONVENZIONI
Nicola Latorre (Pd) (nella foto), presidente della commissione, ha subito messo in evidenza “il profilo nuovo” rappresentato dalle navi delle Ong negli ultimi tempi perché non c’è dubbio che ogni imbarcazione (militare o civile che sia) ha il dovere di salvare la vita di chi chiede soccorso in mare, ma il nuovo “soggetto” comparso nel Mediterraneo negli ultimi due anni o poco più, con una presenza “stabile e sistematica”, “non è contemplato nelle convenzioni internazionali”. Inoltre, è un’attività che “non può confliggere con le attività di indagine” contro i trafficanti anche se, non trattandosi di una commissione d’inchiesta con poteri di autorità giudiziaria, su questo Latorre si è limitato a fare proprio il punto di vista dei magistrati.
NO A CORRIDOI UMANITARI CREATI DA PRIVATI
È la critica “politica” che la relazione rivolge alle Ong: la loro opera di salvataggio crea “un oggettivo corridoio umanitario”, ha detto Latorre, mentre si dovrebbe interagire con i Paesi di provenienza come fa, per esempio, la Comunità di Sant’Egidio. E la creazione di corridoi umanitari da parte di soggetti privati, è scritto nella relazione, “in nessun modo può ritenersi consentita”. Ecco perciò che la commissione propone che alla Guardia costiera sia affidato un coordinamento effettivo anche della semplice presenza in mare delle imbarcazioni delle Ong e non solo dal momento in cui avviene un salvataggio: “Poiché si tratta di natanti presenti esclusivamente a fini di attività Sar e non di mercantili investiti di volta in volta sulla base del diritto internazionale”, scrivono i senatori, sarebbe opportuno che “rientrassero a pieno titolo in un coordinamento permanente curato dalla Guardia costiera, ricevendo istruzioni anche su tempi e modalità di svolgimento del servizio, oltre che sull’area nella quale posizionarsi”.
ONG “CERTIFICATE”
Una proposta collegata a questa riguarda una certificazione delle Ong, giudicata indispensabile. Oggi solo due di quelle attive in mare rispondono a criteri definiti, mentre andrebbero valutate la reale adeguatezza delle navi e le caratteristiche degli equipaggi, dei cui componenti si dovrebbero conoscere dati anagrafici e provenienza, mentre oggi le Ong li prendono anche solo per periodi limitati e non se ne sa quasi niente. A Trapani infatti si sta indagando proprio su alcuni membri degli equipaggi di Medici senza frontiere e non sull’Ong. Infine, obbligo di trasparenza sui finanziamenti perché, nonostante tutte le Ong ascoltate in commissione abbiano garantito che i dati relativi sono sui propri siti web, in alcuni casi non è vero. “Sarebbe incomprensibile se rifiutassero una certificazione” ha chiosato Latorre.
INDAGINI FIN DAL MOMENTO DEL SOCCORSO
I tre procuratori ascoltati (Carmelo Zuccaro di Catania, Francesco Paolo Giordano di Siracusa e Ambrogio Cartosio di Trapani) erano stati unanimi nel ritenere indispensabile l’avvio dell’attività di polizia giudiziaria fin dai primi momenti del soccorso. È un tema centrale nella relazione perché altrimenti, ha detto Latorre, “si possono eliminare prove fondamentali”. Torna così la questione dei telefoni satellitari riutilizzati: come disse Zuccaro, quando un trafficante consegna il telefono a chi guiderà il barcone, impone di gettarlo in mare solo se il salvataggio sarà fatto da una nave militare e non in caso di privati. “Senza la presenza di polizia giudiziaria – ha confermato Latorre – i telefoni vengono riportati a riva” così come può avvenire che, mentre si soccorre un barcone carico di migranti, i trafficanti arrivino su un’altra barca e stacchino il motore del mezzo soccorso in modo da riutilizzarlo. Le possibilità sono due: o le Ong accettano di imbarcare unità di pg (ipotesi peregrina sia perché hanno già detto che non lo faranno, sia perché battono bandiere straniere e in acque internazionali sono extraterritoriali) oppure l’organizzazione militare deve prevedere la presenza di un’unità, anche piccola, che possa intervenire immediatamente. In attesa dei contatti con le Ong, Latorre auspica che questo possa avvenire immediatamente. Riguardo ai rapporti tra le Ong e i trafficanti, nella relazione non c’è un riferimento diretto, ma il presidente della commissione ha ribadito che i magistrati sono stati “sollecitati ad approfondire tutto” e c’è l’appoggio dei senatori affinché vengano potenziati i loro strumenti come l’intercettazione dei telefoni satellitari.
IL RUOLO OPACO DI MALTA E TUNISIA
Il coinvolgimento di Libia, Malta e Tunisia diventerà indispensabile. Nel caso della Libia, mentre continuano i contatti con il governo italiano che sta fornendo alcune motovedette alla loro guardia costiera, bisognerà creare anche a Tripoli un Mrcc, cioè un centro di coordinamento e soccorso. Su questo sta lavorando la Guardia costiera italiana, com’è stato confermato nelle audizioni più recenti, utilizzando anche fondi europei. È invece inaccettabile il comportamento di Malta, che come ulteriore sberleffo è presidente di turno del semestre europeo. Con l’esplosione della crisi migratoria, le autorità di Malta hanno semplicemente cessato di rispondere, come hanno confermato molti dei soggetti ascoltati durante l’indagine. L’Italia dunque oggi è costretta a operare in un’area di un milione di chilometri quadrati ed è perciò urgente delimitare le aree Sar (ricerca e soccorso) di Italia e Malta. Un problema diplomatico anche perché, ha spiegato Latorre, Malta non vuole rinunciare agli incassi derivanti dalle tasse di sorvolo che devono pagare le compagnie aeree. Discorso analogo per la Tunisia, che non risponde alle chiamate di soccorso e non ha recepito la direttiva sul “porto sicuro”. A questo proposito, la relazione approvata dalla commissione Difesa auspica un intervento delle istituzioni internazionali in modo da realizzare in Libia, Tunisia e Malta “porti sicuri” o, come’è detto nelle normative, “place of safety” sotto l’egida dell’Onu, dell’Unhcr e dell’Oim per accogliere i migranti soccorsi nelle rispettive aree Sar.
LO SPIRITO BIPARTISAN
Il voto unanime dà più peso alla relazione. Un “minimo comun denominatore” l’ha definito il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (FI). In una nota firmata, oltre che da Gasparri, anche da Paolo Romani, capogruppo forzista al Senato, e da Bruno Alicata, capogruppo di FI in commissione Difesa, si insiste sulla necessità di passare alla fase 2-B della missione Eunavfor Med (Operazione Sophia, il cui mandato scadrà il 27 luglio salvo probabili proroghe) con l’ingresso nelle acque libiche: occorrendo una risoluzione del Consiglio di sicurezza del quale fa provvisoriamente parte l’Italia, FI chiede un ruolo diplomatico più incisivo. Purtroppo, occorre anche il placet del governo libico, con quel che ne consegue stante il caos attuale.
LE CIFRE PIÙ RECENTI
Al 16 maggio, il ministero dell’Interno ha registrato 45.746 arrivi, il 41,58 per cento in più dell’anno scorso. Nella relazione approvata dalla commissione Difesa del Senato emerge che nei primi quattro mesi del 2017 i salvataggi effettuati da privati (tra Ong e navi mercantili) hanno toccato il 50,36 per cento del totale, di cui il 34,72 da parte delle Ong. Il boom è degli ultimi due anni: nel 2013 le navi mercantili avevano salvato il 16,68 per cento dei migranti mentre le Ong, comparse nel 2014 con lo 0,87 per cento, sono passate al 13, al 26 e all’attuale quasi 35 per cento negli anni successivi. Un boom su cui oggi il Parlamento chiede regole certe.
Ecco il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulle Ong (pdf)