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Perché Beppe Sala a Milano si smarca da questori e Minniti?

Beppe Sala, milano

L’attentato di Manchester si sovrapporrà inevitabilmente ad una seria riflessione sugli eterogenei obiettivi della marcia per l’accoglienza di sabato scorso a Milano. Invece bisognerebbe aprire subito un confronto civile per capire “chi vuole che cosa” quantomeno per chiamare tutti alla chiarezza del linguaggio e all’assunzione delle responsabilità.

È urgente farlo anche per evitare a Milano la deriva della proliferazione di manifestazioni contrapposte (una ginnastica rivoluzionaria in cui trovano l’acqua i pesci del radicalismo violento di destra e di sinistra) che si annunciano sui temi più vari, accompagnate da comportamenti  squadristi  (per fortuna sinora solo verbali) di cui nessuno può sottovalutare la pericolosità.

La situazione è chiarissima: l’arrivo incontrollato, non solo di profughi che fuggono dai teatri di guerra mediorientali, ma soprattutto di disperati che lasciano il loro paese per ragioni economiche è fuori controllo e il nostro sistema Paese non è in grado di garantire loro una accoglienza adeguata oltre un certo limite, che peraltro non cerchiamo neppur di capire a quale cifra approssimata corrisponda.

La redistribuzione di queste persone tra i Paesi Ue è oggi una chimera e l’unica prospettiva realistica per il nostro paese è, allo stato delle cose, l’assunzione di un ruolo analogo a quello della Turchia (absit iniuria verbis), quello di divenire un grande centro di accoglienza dei flussi migratori del Mediterraneo in nome e per conto degli altri Stati europei, con l’auspicio che il conto venga pagato da Bruxelles.

A questo punto, se il governo libico non fosse condizionato dagli scafisti, tanto varrebbe istituire tratte di navigazione gratuita e  protetta tra i porti libici e gli approdi in Italia. Gli unici segnali in controtendenza sono venuti dal Governo attraverso il ministro Minniti che si è mosso sia per frenare l’esodo nei paesi del centro-Africa e ha introdotto una più chiara distinzione tra la tutela dei diritti dei rifugiati e la graduale gestione di un processo di rientro degli immigrati “economici” che non avrebbero alcuna prospettiva decente nel nostro Paese.

Rimane aperta, nell’attesa infinita di un vero governo libico, la questione centrale che riguarda la costruzione, sulla sponda africana del Mediterraneo, di centri di accoglienza dignitosi sotto l’egida delle Istituzioni internazionali, dove ricondurre anche coloro che vengono raccolti in mare. Non è un caso che il ministro Minniti sia stato uno dei bersagli di parte dei manifestanti.  Ma  questo è normale. Quello che balza all’occhio è che, non solo il ministro non è stato difeso con determinazione da parte dei dirigenti del Pd presenti alla manifestazione, ma che le dichiarazioni di esponenti importanti del maggior partito di governo sono cariche di ambiguità. Cosa vuol dire l’affermazione del sindaco di Milano Beppe Sala secondo il quale occorre più accoglienza per coloro che arrivano e più diritti per gli stranieri presenti in Italia? In via di principio si può anche convenire, ma quali sono le proposte concrete ( più lavoro,  più case, un trattamento migliore nei centri di accoglienza)?

Questa materia è delicata perché rischia di dare la sensazione alle fasce più deboli della popolazione di essere dimenticate (vedi l’infame vicenda della occupazioni illegali delle case popolari) e di fornire una base di massa ai movimenti xenofobi. E soprattutto Sala è d’accordo con le scelte politiche del governo e del ministro Minniti? E infine non è arrivato il momento di rispettare davvero le forze dell’ordine, dagli agenti ai questori quando, applicando la legge, svolgono i loro compiti? Il sindaco di Milano non ha sinora commesso gravi errori nel’amministrazione della città ma sta maneggiando in maniera disinvolta una materia delicata e complessa col rischio che gli fugga di mano. Che la manifestazione di sabato sia  riuscita è un fatto positivo. Persino Minniti, con grande signorilità, l’ha apprezzata. Ma il silenzio di Renzi vorrà pur dir qualcosa e comunque è urgente uscire dall’ambiguità. Potere e responsabilità sono due facce della stessa moneta.


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