Nella querelle Renzi-de Bortoli confesso un sentimento che va al di là degli argomenti portati dai due contendenti. Sul piano fattuale, è certamente più solida la posizione di de Bortoli, che ha semplicemente messo sul tavolo una notizia, sprovvista di rilevanza penale ma carica di rilevanza politica: l’agitarsi di un’autorevole ministra a proposito della banca gestita (anche) dal papà. Non entro nei dettagli, anche se forse resta da capire come mai, potendo scrivere da mesi questa novità sulla prima pagina del Corriere, de Bortoli lo abbia fatto solo oggi. Così come qualcuno (anche in qualche alto palazzo romano…) dovrebbe chiedere conto a Boschi delle sue reiterate dichiarazioni in Parlamento, quelle in cui puntualizzava di non essersi mai occupata di Banca Etruria.
Ma non è questo il punto che oggi mi interessa. Torno al sentimento da confessare: una difficoltà a prender parte tra i due contendenti, e anche un certo disinteresse per una contesa che – secondo costume italiano – appare meno centrata sulle idee e più sulle ostilità personali.
Da un lato, c’è Renzi, che finge di essere un outsider: lo è stato all’inizio, ma poi è stato il cocco dei poteri italiani. Adottato da tutti: banche, giornaloni, commentatori, grandi imprese. Non c’era segmento del potere italiano che non scommettesse su di lui. Però ha gettato al vento l’occasione: non avendo né idee né una squadra, e anzi ritenendo che sia le prime che la seconda fossero una zavorra. Così, dopo il naufragio referendario, è rimasta molta arroganza, un pericoloso mix di potere e celebrità mediatica.
Quanto a de Bortoli, a volte – anche quando dice cose condivisibili -, si ha l’impressione che parli come se venisse da un altro paese, come se fosse un distaccato osservatore straniero. Non è così: ha diretto Sole e Corriere, poteva per anni animare campagne di trasformazione liberale del paese. Purtroppo, quel mondo (il vecchio patto di sindacato Rcs e i direttori “di riferimento”) al massimo si è preoccupato di scatenare campagne contro la “casta”, scuotendo l’albero per Grillo… Ora, la politica italiana è quello che è: ma è paradossale che per anni le “portaerei” dell’informazione italiana si siano preoccupate delle nefandezze di consiglieri regionali e assessori, tacendo su banche, grande impresa assistita, aziende di stato e parastato… Da questo punto di vista, il politicante da impiccare era (è) il diversivo perfetto, l’arma di distrazione di massa per antonomasia, la vittima sacrificale da dare in pasto alle belve al Colosseo. Per meglio evitare di parlare delle questioni vere: tasse, spesa, debito.
All’establishment italiano (che non è migliore del ceto parlamentare) si richiederebbe un po’ di autocritica e qualche parola di verità su tutto questo.
PS Un ultimo dettaglio, anche perché le parole sono importanti, svelano un modo di pensare, un’impronta culturale. Sconcerta il modo in cui un uomo accorto come de Bortoli, capace di usare e scegliere i vocaboli, sovrapponga sistematicamente massoneria e opacità, massoneria e malaffare. Davvero si liquidano così trecento anni di storia e cultura massonica, un pensiero che è stato protagonista delle migliori pagine storiche occidentali, inclusa l’Unità d’Italia? Muoversi a colpi di accetta – anche se il taglio del vestito e il tono della cravatta sono impeccabili – è roba da grillini.