A quaranta, cinquanta e sessanta anni, uno non ci pensa. Non pensa a cosa? In genere, non pensa al welfare, allo Stato sociale, alla sanità, alla possibile perdita di autonomia. Non ci pensa, a meno che il tizio non sia del settore. A meno che non lavori all’interno del welfare. A meno che non faccia politica. Ma, anche in questi casi, si tratta spesso di un pensiero “fuggevole”.
È solo più tardi, da pensionato, che uno comincia a capire che – nell’età più avanzata – la prospettiva di vita cambia. Non più la carriera, non più il denaro, ma il bisogno di autonomia fisica e mentale, su tutto. Ovviamente, con una pensione “decente”. Già, ma qual è, oggi, una pensione “decente”? Non lo è, di certo la pensione inferiore a 3 volte il minimo Inps (1512 euro lordi). Tra il percepito e la tranquillità pensionistica si frappongono mille inciampi e mille regole, giuste ed ingiuste. Cerchiamo di elencare, ordinatamente, questi fattori.
Il primo di tutti, ovviamente, riguarda lo Stato economico degli enti previdenziali, a partire dall’Inps e per finire all’Inpgi.
INPS
Chi si era illuso che con l’arrivo di Treu (commissario) prima e di Boeri (scelto da Renzi), poi, la gestione dell’Inps cambiasse, è stato pesantemente deluso. Il tecnico bocconiano, in questi lunghi anni, non ha modificato la sostanza della gestione Inps ma ha cercato di imporre alla politica scelte pensionistiche non tecniche ma politiche.
Ad esempio, si è fatto beffa di numerosi studi che testimoniavano l’assoluta necessità di strutturare il bilancio Inps in due parti nettamente separate: quella previdenziale pura da quella assistenziale. La previdenziale, in pareggio di bilancio. Quella assistenziale, in profondo rosso, per colpa delle “mance e mancette” decise dalla politica e prive di coperture economiche. Ad oggi, non sappiamo con esattezza il credito dell’Inps verso lo Stato italiano: 40-70-90 miliardi di euro? L’impressione è che il bilancio Inps sia stato usato da chi ci governa per evadere dalle rigide regole europee, ossia dal patto di stabilità.
E questa impressione è avvalorata da come il governo Renzi ha interpretato in pejus la sentenza 70/2015 della Consulta, ridando ai pensionati (taglieggiati per lunghi anni dai governi tecnici) solo una piccola frazione dei tagli pensionistici pluriennali imposti ex-lege. E ciò solo fino a valori pensionistici pari a 6-8 volte il minimo Inps. Al di sopra, nulla è stato riconosciuto. Nulla, ai “pensionati ricchi”. Nulla. Ma i vitalizi sono stati salvati, ancora una volta. Da ciò, come è noto, migliaia di ricorsi Federspev-Dirstat-Confedir in tutta Italia. Con una ventina di rinvii del problema dalle Corti dei Conti regionali alla Consulta. Consulta che non ha ancora fissato la data del giudizio di merito. Ci auguriamo che esso non solo confermi quello citato, ma lo integri, stabilendo una volta per tutte che mancata rivalutazione delle pensioni e contributi di solidarietà sono da considerarsi tirbuti, con quel che segue.
SANITÀ
Da anni sostengo che tra le riforme che vanno fatte deve esserci quella sanitaria, datata 1978. È sotto gli occhi di tutti il progressivo peggioramento dell’assistenza sanitaria pubblica. Colpa di chi? Noi siamo tra coloro che ritengono che, oggi, medici e sanitari tutti facciano – in generale – ben più del loro dovere. Nonostante gli organici all’osso, i blocchi contrattuali pluriennali, la contrazione delle risorse per gli edifici e le apparecchiature, i problemi lasciati insoluti dalla legge Gelli-Bianco.
E ora ai problemi cronici si aggiungono ulteriori aspetti. Per nulla marginali. L’esplosione delle liste di attesa; la pesantezza dei ticket sanitari (soprattutto per i bassi redditi); le vaccinazioni obbligatorie.
Chi fa le norme, lascia le pentole scoperte. Pensare di riuscire a vaccinare 90mila bimbi prima di settembre è un pensiero “ardito”. Ma potrei usare un altro aggettivo. Pensare di imporre l’obbligo vaccinale solo agli italiani e di non estenderlo ai migranti è un chiaro esempio di distonia legislativa.
Pensare di affidare all’Inps i controlli medici per tutti i dipendenti (pubblici e privati) in malattia vuol dire non sapere che tutto ciò comporta il lavoro di nuove schiere di medici (dove sono?) e una marea di costi aggiuntivi. Chi farà cosa? E con che tariffe? L’esperienza precedente non ha evidentemente insegnato nulla.
SANITÀ INTEGRATIVA-PREVIDENZA INTEGRATIVA
Sarà forse per tutto questo che, da mesi, siamo bombardati da proposte, bancarie e assicurative, di una previdenza integrativa e di una sanità integrativa. Proposte che hanno 2 grossi limiti: il reddito e l’età.
Il reddito. Se uno ha un lavoro poco retribuito e/o precario, come potrà mai accedere a queste integrazioni?
L’età. I pensionati over 65 anni come potranno mai ottenere una sanità integrativa e una Ltc (long term care) significativa, data l’assenza di contributi versati nei precedenti decenni, in piena salute?
Ecco, prima di pensare ad altre riforme, occorrerebbe che la politica affrontasse, con consapevolezza, queste criticità di oggi e del domani prossimo. Senza indugi e senza scuse.
Stefano Biasioli
Medico pensionato, ma non inattivo (per fortuna!)