Contrariamente a quanto di solito ritenuto, l’utilizzo da parte dei principali gruppi bancari di sofisticati sistemi di rating per l’erogazione del credito non svilisce affatto il rapporto relazionale tra banca e impresa, anzi lo esalta. E questo perché, se è vero che i sistemi di rating bancari, testati e validati dalla Banca d’Italia, riescono statisticamente ad evidenziare la rischiosità dei soggetti esaminati, tuttavia potrebbero non riuscire a percepire le peculiarità di specifiche situazioni. E allora, la regola aurea è che più si adottano meccanismi automatici di valutazione e più deve essere profondo e continuativo il rapporto di conoscenza instaurato tra imprenditore e gestore della relazione.
Da evidenziare però che questo rapporto deve essere reciproco: il gestore deve conoscere al meglio le aziende nel suo portafoglio, ma l’imprenditore deve capire le esigenze della banca e garantire un flusso di informazioni adeguato. Altrimenti, banalmente, il meccanismo potrebbe incepparsi. Ad esempio, una forte presenza nel bilancio di una azienda di immobilizzazioni immateriali (marchi, spese di pubblicità etc ), specie se abbinata ad una scarsa patrimonializzazione dell’impresa, tende ad allarmare il rating. E questo perché quest’ultimo è stato addestrato a guardare con sospetto queste poste spesso valorizzate con allegria dai consulenti aziendali. Peccato, però, che le immobilizzazioni immateriali possano anche comprendere brevetti e spese di ricerca e sviluppo. E peccato che magari siano state proprio queste poste a consentire alla nostra azienda di contrastare i competitor tedeschi avvantaggiati da un minor costo del denaro, da minori tasse, da minor burocrazia e da minori costi energetici.
Ebbene, sarà proprio la conoscenza dell’azienda, dell’imprenditore, del settore, e dei programmi di investimento che consentirà al gestore della relazione di evidenziare nelle sue note la reale situazione dell’azienda evitando una ingiusta penalizzazione di quest’ultima. Ma ciò che colpisce è che l’importanza strategica della “variabile conoscenza” nel rapporto banca – impresa non riguarda solo la concessione del credito, ma si è ormai estesa trasversalmente ad altre sfere quale l’attualissima gestione del credito deteriorato e la normativa antiriciclaggio.
Ad esempio, nell’ambito del monitoraggio del credito, le nuove normative di vigilanza hanno di recente puntato il dito sul “credito tollerato” (detto Forborne). Più in particolare la Bce ha imposto agli istituti di segnalare tutti i soggetti in difficoltà finanziaria che richiedano alla banca una cosiddetta “misura di tolleranza” quale il rinnovo dei prestiti in scadenza, lo spostamento delle rate, l’allungamento dei termini di pagamento etc. Ovviamente il timore della vigilanza è che possa trattarsi di posizioni tenute artificialmente in vita dalla banca stessa solo grazie alla concessione delle citate misure di aiuto. Da evidenziare, tuttavia, che la BCE ha precisato che vanno considerati in difficoltà finanziaria solo quei soggetti che evidenzino una situazione di difficoltà strutturale e continuativa, non un problema transitorio e occasionale. Ora risulta evidente che, anche in questo caso, solo un fluido rapporto di conoscenza tra banca e impresa consentirà al gestore di valutare correttamente la situazione dell’azienda ai fini della segnalazione alla vigilanza.
E vi assicuro che per una azienda avere il marchio “F” (credito Forborne) sulle proprie linee non è affatto indifferente in termini di rapporti con il sistema e di futuro accesso al credito. Ma anche nella delicatissima sfera della normativa antiriciclaggio, il rapporto basato sulla reciproca conoscenza è divenuto fondamentale. Come noto, su questo fronte, la banca non può più limitarsi a registrare le operazioni per metterle eventualmente a disposizione dell’autorità giudiziaria (collaborazione passiva).
Al contrario, la banca deve garantire una collaborazione attiva imperniata sulla presunta esistenza di un rischio di riciclaggio. In quest’ottica, ad esempio, il gestore della relazione è chiamato ad effettuare tutti quegli approfondimenti bancari da lui ritenuti necessari per comprendere meglio una situazione ritenuta anomala. Ma, nel fare questo, il gestore non potrà prescindere dal confronto tra l’operazione anomala in sé l’attività e le caratteristiche del soggetto che l’ha posta in essere.
Ad esempio, se un tabaccaio porta mazzette di assegni in filiale l’operazione “di pancia” potrà sembrare sospetta. Ma se il nostro tabaccaio ha il negozio a piazzale Clodio dove ha sede il Tribunale di Roma, la faccenda potrebbe rivelarsi molto meno allarmante. Infatti, in questo caso, gli avvocati non comprano giornalmente i bolli per i loro atti, ma pagano mensilmente il tabaccaio con dei cospicui assegni. Molto diverso se il nostro tabaccaio si trovasse, invece, sull’ A 24 Roma – Pescara. Ancora una volta, è dunque la variabile conoscenza che può fare la differenza sia per la banca che per l’azienda.
Andrea Ferretti, docente al Corso di Gestione delle Imprese Familiari – Università di Verona