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Cosa serve davvero all’Italia

italia, STEFANO BIASIOLI, MEDICI

Un popolo di santi, poeti, navigatori. Questo era il “vecchio” popolo italiano, quello che, verosimilmente, è finito con la guerra del 1915-1918.
Un popolo di alpini, con i loro muli. Un popolo di bersaglieri, con le loro penne. Un popolo di artiglieri, con pesanti obici sulle spalle. Un popolo
disaggregato ma unito da un’unica lingua (insegnata a scuola), da un unico orgoglio (“siamo italiani”) anche se emigranti, da una religione, anche se praticata a spizzichi e bottoni.

Un popolo unito dalla fine della seconda guerra mondiale, perché la miseria del dopoguerra era associata al lavoro, alle imprese del Torino e di Bartali-Coppi-Magni. Perché alla guida c’erano politici integri e rispettati, anche se andavano in America con il paletot (cappotto) rivoltato. La foto di De Gasperi, su tutti i ricordi.
C’era il lavoro, perché gli Usa avevano varato il Piano Marshall e l’edilizia aveva ripreso a correre. C’era tanta miseria, nelle campagne, ma il lavoro portava dignità, anche tra chi meno aveva.

Non posso non ricordare il “povero” che, al lunedì mattina, veniva a ritirare il pane avanzato, ringraziando commosso, con il cappello in mano. Come dimenticare il carretto con i cavalli che, al lunedì pomeriggio, portava ad Avesa (frazione di Verona) la biancheria da lavare? E che dire dei muratori che lavoravano cantando e che, arrivati al tetto dell’edificio, inalberavano una scopa colorata?

Per 15-20 anni (1946-1960-1965) l’Italia è cresciuta, e la lira riceveva apprezzamenti mondiali. L’economia girava, la miseria si riduceva, anche gli operai della Tiberghien potevano comperarsi la macchina e fare le gite (mattina-sera) a Sottomarina. Mangiando la bondola, a mezzogiorno,

Dal 1968 in poi, tutto è cambiato. Nell’università (il 18 politico), nella scuola, nella Chiesa, nella politica.
Gli anni settanta saranno stati anche anni di riforme (quella sanitaria -1978- su tutte) ma anche anni di terribile inflazione e di contestazione verso i “capi”. Chi scrive ricorda che, nella cattolicissima Vicenza (vescovo mons. Zinato) chi entrava in Ospedale con “il Giornale” veniva “guardato male”. Eufemismo.

Ebbene, in quegli anni chi scrive si è battuto contro il contratto unico in Sanità, entrando e guidando un sindacato autonomo di medici e riaffermando la dignità della laurea e del ruolo, nel rispetto delle competenze altrui. Ma ci sarebbe voluta la marcia dei 40.000 di Torino (i quadri) e la marcia dei 40.000 camici bianchi (Roma, 1986) per ridare valore ai dirigenti ed ai professionisti, contro l’andazzo creato dall’estrema sinistra e dai movimenti rivoluzionari. A Donat Cattin (sinistra DC) va riconosciuto il merito di aver fissato basilari standard ospedalieri; a Craxi si deve la rottura del contratto sanitario unico, con la creazione dell’autonoma area medica.

Finito, malamente, Craxi, il Centrodestra di Berlusconi ha peggiorato le cose. Nessun riconoscimento alla dirigenza pubblica, in tutti i comparti; mancato varo di almeno 3 contratti pubblici; esplosione del debito pubblico, senza un reale programma di ammodernamento delle infrastrutture pubbliche (scuole, ospedali, strade, carceri).

Alla fine degli anni novanta, la scelta dell’euro, con Prodi che prometteva che avremmo lavorato un giorno di meno e guadagnato di più.
La scelta europea è stata voluta da una lobby economico-finanziaria, senza una chiamata al voto. L’Irlanda ha potuto votare, Noi no. Non siamo stati ritenuti degni di entrare o no nella UE attraverso un voto popolare.

Sono passati 17 anni e la realtà è sotto gli occhi di tutti. La vecchia politica (quella democristiana-solcialista-comunista) non c’è più, sostituita – come è avvenuto – da una serie di governi tecnici, decisi da Napoletano e C., senza che gli italiani fossero chiamati a votare.
Monti, Letta, Renzi, Gentiloni. Governi nati da crisi extraparlamentari. Quattro governi quattro che hanno associato all’aumento delle tasse quello del debito pubblico.
Che hanno bloccato per 8 anni i contratti pubblici. Che hanno taglieggiato per 7 anni su 10 i pensionati, tutti quelli con pensioni superiori a 3 volte il minimo Inps. Che hanno disatteso le sentenze della Consulta, su tutte quella n°70 del 2015.
Che hanno lasciato alla deriva la Sanità, la Scuola (tutta), l’Inps, il Cnel. Si, anche il Cnel, preso di mira da chi non ha voluto la spending review di Cottarelli, da chi non ha voluto il varo di pensioni “normali” ai politici, di chi ha voluto occupare tutte le più importanti cariche pubbliche con gente del giglio magico. Spesso né laureata né competente.
Dal 5/12/16, dal No al referendum, la politica ha trascurato i problemi reali del Paese, per perdersi in pinzillacchere inconcludenti.
Risultato? Tutti i nodi italici si stanno aggrovigliando. Non si tratta solo delle regole elettorali e di quando ci sarà consentito di andare al voto.
No, si tratta di molto di più. In breve. I campi profughi (è facile accogliere, è difficile accogliere in modo civile); i terremotati; i disoccupati; le famiglie povere; la delinquenza; la sanità che arretra.

Si disquisisce sui vaccini obbligatori, trascurandone i costi, soprattutto se si vaccineranno tutti i migranti.
Si abbandonano le famiglie con povertà assoluta, trascurando le indicazioni del Cnel. Si vara la legge Gelli sul rischio professionale in sanità ma non si ha né il coraggio né l’intelligenza di capire che, 40 anni dopo, va varata la riforma del Ssn, prima che la sanità scoppi.
Riforma sanitaria, ma non con le regole della Madia, che molti danni hanno già prodotto alla P.A. (pubblica amministrazione).
Le teste, per scrivere le nuove regole sanitarie, ci sono. Purché lo si voglia. In caso contrario, qualcuno lascerà colpevolmente il campo libero a chi gestisce la sanità integrativa.
Già, a proposito di lobbies e di amici degli amici!

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