Da “flebile tifoso delle primarie” e da analista, che non si fa influenzare dalle mode, oltre che da esperto di leggi elettorali al cui funzionamento ha dedicato un recente libro (edito da Giubilei Regnani), Pino Pisicchio, presidente del gruppo Misto alla Camera (il terzo di Montecitorio), ex sottosegretario con Ciampi e Amato, dopo la reincoronazione di Matteo Renzi alla guida del Pd lancia un allarme: si riformino subito le regole per il voto. E in fretta: “Ora o mai più, altrimenti nella prossima legislatura ci sarà una frammentazione e una ingovernabilità tali da correre un rischio Weimar”. Anche a Renzi “questo conviene e non la fine anticipata della legislatura”. La preferenza di Pisicchio è per il premio alla coalizione, e non alla lista., che porti ad un'”alleanza di responsabili”, dalla quale “siano esclusi i populisti”.
Presidente Pisicchio, come giudica questa forte affermazione di Renzi alle primarie Pd?
Sicuramente si è trattato di un rito attraverso il quale si è realizzato un rafforzamento dell’immagine di Renzi, ma in fondo è una vittoria annunciata. Perché nessuno mai avrebbe immaginato che né Orlando né Emiliano avrebbero potuto impensierire l’ex presidente del Consiglio.
Certamente anche gli sfidanti sapevano in partenza che non avrebbero vinto.
Sicuramente sì. Le primarie in Italia hanno un destino un po’ particolare. A differenza di quanto avviene nelle altre democrazie, a cominciare dagli Usa, che ne sono la patria, le primarie non hanno mai avuto da noi un valore effettivamente selettivo, ma un valore o confermativo, di legittimazione di un leader già scelto e comunque già affermato nella sua posizione, o soprattutto per gli altri competitor un valore tendente a costruire una rendita di posizione e in ogni caso uno strumento negoziale all’interno del partito stesso oppure del governo. Davvero poche sono state le esperienze servite a selezionare un nuovo capo in una dimensione di conflitto aperto e di totale velo di ignoranza sui risultati, quello che effettivamente avviene, invece, nelle primarie americane. Gli editoriali delle scorse settimane erano tutti segnati da una campana a morte per le primarie, ora invece è tutto un viva le primarie…
E invece come stanno le cose?
In realtà io sono veramente un flebile tifoso delle primarie, non ci ho mai creduto…
La Francia docet?
Esatto. E in Francia ci muoviamo peraltro in un sistema che in passato le primarie le ha praticate con qualche successo. Quindi, io penso che naturalmente la leadership di Renzi esce a tutto tondo esaltata. Però, torno a dire, con due competitori piuttosto deboli. Ma di nuovo le primarie del Pd non dicono niente perché non è che questo risultato modifichi il percorso dei flussi elettorali.
Sta dicendo che si tratta delle primarie di un partito seppur centrale in Italia e comunque del responso di una minima parte dell’intero corpo elettorale, seppur 2 milioni di votanti non sono affatto pochi?
Proprio così. Abbiamo assistito a una rispettabile procedura per selezionare il leader di un partito. Ma non vuol dire altro rispetto a questo.
Ma la reincoronazione con quelle forti percentuali di Renzi alla guida del Pd è destinata ad accelerare la fine della legislatura?
È una lettura semplicistica, di tipo psicologico non politologico. Si suppone in questo modo che Renzi abbia vissuto le primarie come una sorta di revanche e abbia una voglia matta di tornare a Palazzo Chigi e vorrebbe quindi fare le elezioni subito. E in una sorta di coazione a ripetere, dopo l’esperienza con Enrico Letta, adesso ne dovrebbe produrre una del tutto nuova con Gentiloni.
E invece secondo lei Renzi cosa intende fare?
Io non credo che abbia questo obiettivo di rosicchiare tre mesi, perché di questo stiamo parlando, costringendo il Paese a fare la campagna elettorale con il costume da bagno sulle spiagge a Ferragosto per appagare questo presunto sentimento di astinenza, avendo subìto una sorta di sindrome di Stendhal del potere. Credo invece che Renzi abbia tutto l’interesse intanto di fare una legge elettorale che non condanni il Paese a uno stallo. Che guadagno ha Renzi ad andare a votare a settembre o ottobre con questi pezzettini di legge elettorale che sopravvivono: il cosiddetto Consultellum al Senato e l’Italicum alla Camera rivisto dalla Corte costituzionale, che non danno matematicamente nessuna possibilità di governo per nessuno?
Forse il desiderio o sogno di tornare al 40 per cento delle Europee e tornare ad essere il dominus della politica. Ma intanto fibrillazioni nei confronti dei cosiddetti tecnici del governo Gentiloni (Calenda e Padoan) ci sono state. Quindi, ora che è più forte cosa farà?
Ma io credo che la prima cosa che Renzi intende fare è tornare attore della riforma della legge elettorale. Fino a questo momento il Pd non ha tirato fuori nessuna vera proposta. È difficile pensare che si sottragga dall’onere di dire la sua su questa partita che è decisiva anche per lui. Perché, siamo concreti: se Renzi non dovesse tentare una legge elettorale utile per non avere la certezza dello stallo, lui non solo registrerebbe una sconfitta nella partita sulla legge elettorale, ma risulterebbe poi espunto dalla dinamica politica del prossimo tempo. Quindi, tutta questa fretta di votare tre mesi prima non avrebbe come obiettivo finale nulla, se non un impulso psicologico, non razionale.
C’è peraltro un forte monito del capo dello Stato Mattarella.
E c’è anche una consecutio temporum piuttosto complicata, considerando che al Senato c’è un Vietnam ed è difficile pensare che la riforma si faccia in breve tempo. La tempistica dunque non si rende per niente compatibile con lo scioglimento delle Camere. Quando? Ad agosto?
Dove si va a parare? Lei vede all’orizzonte una grande coalizione con Berlusconi come argine nei confronti dei Cinque Stelle? Oppure un nuovo centrosinistra?
È un bivio molto complicato dove la legge elettorale non è per niente neutra. Intanto che significa grande coalizione? Se si tratta di Berlusconi più Renzi siamo a un presumibile 14 per cento e un circa 26 per cento. E non si arriva al 51 per cento. Quindi, se la legge elettorale resta questa, la grande coalizione resta una grande illusione. Io ormai attribuisco a Renzi un profilo maturo, non ha più l’alibi giovanile, dunque si può permettere di guardare alla partita delle politiche con un occhio che non sia più autoreferente e guardi all’interesse del Paese.
Il ministro Franceschini aveva parlato di una coalizione di responsabili.
Bisogna tenere dentro tutti, esclusi i populisti avendo il coraggio e la pulizia morale di dirlo prima. Sì, una coalizione di responsabili, sperando che la Madonna, come dicono al paese mio, ci metta una mano sopra,
Si corre un rischio spagnolo, andando a più elezioni?
Io sono ancora più preoccupato, vedo piuttosto un rischio Weimar.
Addirittura?
Sì, se noi non facciamo ora una buona legge elettorale non la faremo mai più.
Premio alla coalizione?
Sì, alla coalizione non alla lista, come stimolo ad allargare. Se noi nella diciottesima legislatura dovessimo arrivare a una frammentazione senza una possibilità di governo non avremmo più neppure una maggioranza per fare la riforma elettorale. Per questo parlo di rischio di una deriva Weimar.