Si fa un gran parlare in questi giorni della proposta contenuta nel ddl concorrenza relativa alla fine del mercato vincolato dell’elettricità e del gas. Da più fronti si invita a spostare la data almeno di un anno (dal 2018 al 2019), e vari esponenti della politica e dell’informazione levano grida di allarme. I motivi? I più disparati. Il più gettonato: un paventato aumento dei costi dell’energia per le famiglie. Per costoro il mercato libero è evidentemente una minaccia. Il desiderio? Come spesso accade in queste situazioni, non si vedono controproposte e lo possiamo quindi solo dedurre: il ritorno al “vecchio caro” monopolio. Se non ufficiale (sarebbe in conflitto con la normativa europea) almeno di fatto.
Strano, perché quando nell’ormai lontano 1999 l’allora ministro Bersani decretò l’inizio della liberalizzazione del mercato elettrico, era proprio dal monopolio che ci si voleva allontanare. Considerato costoso e inefficiente, il monopolio gravava sui cittadini. Si scelse così il cambiamento: la privatizzazione della produzione e della vendita di elettricità, prevedendo alcune fasi di transizione che avrebbero dovuto esaurirsi in pochi anni, fino ad arrivare alla totale liberalizzazione e alla fine del Mercato Vincolato. E invece dopo quasi 20 anni siamo ancora qui a chiederci se e quando finirà. Nel frattempo viviamo un ibrido incomprensibile, costituito da operatori che fanno quasi un servizio sociale, come l’acquirente unico che compra energia per tutte le famiglie ancora sul mercato vincolato (circa 24 milioni) e altri, gli ex monopolisti nazionali o locali, che con una mano forniscono questi clienti in virtù di una concessione statale e con l’altra si presentano alla porta (o, con sempre più insistenza, al telefono!) degli stessi cittadini per proporre loro di passare al mercato libero, sempre con la stessa azienda fornitrice. Che resta di norma anche monopolista della rete, dalla quale passano servizi fondamentali per i clienti come l’attivazione la sospensione e la lettura dei consumi.
In mezzo ci sono i numerosi operatori privati, nati sostanzialmente con la liberalizzazione, che provano anche loro a vendere energia. Alcuni di questi hanno già fatto la scelta di non replicare le tradizionali modalità di vendita (poco rispettose della privacy e spesso anche della buona fede dei clienti) per ricercare invece efficienze di costo legate all’adozione delle tecnologie digitali, e offrono prodotti realmente più convenienti e innovativi rispetto al mercato vincolato.
Sopra a tutti stanno le varie autorità, tra cui quella per l’Energia, il gas e l’acqua che ogni anno pubblica un resoconto dell’andamento delle dinamiche del mercato che in estrema sintesi da qualche anno evidenzia che il 70% dei clienti che passano al mercato libero lo ha fatto seguendo il percorso di cui sopra (passando cioè da una mano all’altra degli stessi soggetti ex monopolisti) e che i prezzi del mercato libero sono, in media, più alti di quelli del mercato vincolato.
La dinamica attuale è esemplificativa di una situazione consolidata in cui cambiano in pochi (ma non pochissimi: sono già oltre 10 milioni), e solo una parte minoritaria di questi ne trae un reale vantaggio. Forse però, a giudicare da quello che si trova sui vari comparatori, proprio perché la gran parte dei clienti ha scelto il fornitore storico e non uno di quelli “nuovi entranti”.
A fronte di questa fotografia ho serie difficoltà a comprendere come prolungare la situazione di oggi possa essere di aiuto ai cittadini. Soprattutto rispetto a un mercato in cui decine di operatori potrebbero sfidarsi su prezzo e servizio ad armi pari, conquistando i clienti non grazie a rendite di posizione assicurate dall’immobilismo normativo ma solo sulla base della convenienza, dell’affidabilità, della qualità e del contenuto dei servizi offerti. E con delle autorità di regolazione che abbiano il compito, anziché di scrivere la prossima tariffa unica nazionale, di vigliare, sanzionare i comportamenti non corretti e garantire alle “fasce deboli” una tariffa sussidiata standard (col sistema ibrido attuale solo il 30% degli aventi diritto ne beneficia).
Quando Henry Ford pronunciò la famosa frase “se avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto un cavallo più veloce” certamente era consapevole che doveva dare ai cittadini buone ragioni per cambiare le proprie abitudini, ma non doveva lottare contro un sistema che faceva di tutto per creare cavalli bionici e immortali. Un mercato evolve se esiste una competizione. Basta ad esempio guardare la qualità del servizio sui treni Roma-Milano rispetto a quella dei locali in Puglia, oppure quello che capita nel servizio di consegna dei pacchi. Il mercato dell’energia è un mercato che ha bisogno di innovazione tanto quanto quelli dei trasporti, delle banche o dei servizi pubblici. È un mercato che può beneficiare del progresso della digitalizzazione dei dati, della conoscenza, dell’IoT e della tecnologia in genere. È un mercato che può esplorare nuove opportunità di risparmio che non si basino solo sui prezzi ma, ad esempio, sulle abitudini di consumo. Ma è altresì un mercato in cui la domanda è abituata a chiedere solo “cavalli più veloci” e in cui nessuno investirà per costruire delle automobili, almeno finché i cittadini vivono nelle scuderie di cavalli.
Sia chiaro: nessuno chiede sovvenzioni, che per una volta non servono, ma è necessario riequilibrare il percorso di gara e mettere la linea di partenza e quella di arrivo nello stesso punto per tutti.
In definitiva questo mercato per liberalizzarsi ha bisogno, guarda un po’, dell’elemento fondamentale: la libertà. La libertà di scegliere, di capire, la libertà di decidere di innovare, di partecipare senza svantaggi. Ecco sì, In fondo, come diceva Gaber: “Libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.