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Guerra a Isis e contrasto dell’ideologia wahabita devono andare di pari passo

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Lasciare a terra giovani vite in una pozza di sangue non è solo voler colpire nel profondo i nostri sentimenti, spingerci ad accettare di vivere continuamente nella paura. Ma è anche provare a marginalizzare indistintamente, e sempre di più, le comunità musulmane in Occidente con sentimenti di odio e diffidenza. I migliori alleati per creare il terreno fertile dello scontro e far prosperare giovani emarginati. Quel bacino dal quale il Califfato vorrebbe attingere a piene mani per il suo programma diabolico contro tutti coloro che respingono l’ideologia daeshita.

“Uno dei nostri soldati del Califfato è riuscito a piazzare un dispositivo esplosivo all’interno di un raduno dei Crociati nella città di Manchester”, è questa la rivendicazione dello Stato Islamico sul sanguinoso e barbaro attentato che ha colpito un concerto a Manchester pieno di teenagers.

Soldati, Califfato, crociati, dovrebbero essere parole del passato ma che l’ideologia di Daesh è riuscita a rispolverare nel linguaggio più attuale e accessibile ai giovani. Sì, i giovani che sono il simbolo del futuro per eccellenza. Dalla sua nascita l’Is, li ha messi al centro della sua strategia, come testimonial di un nuovo e apocalittico domani. Giovani senza frontiere hanno creato il termine foreign fighter. Giovani kamikaze, nell’ultima controffensiva, sono nella lunga lista dei vari attentati in Medio Oriente, come vittime e carnefici. Ma non basta, l’appello si allarga ad altri che non per forza devono aver varcato la frontiera del grande Sham, perché è importante esserne simpatizzanti e seguaci, per poter entrare nelle grazie del Califfo.

Perdendo sul campo in Iraq e in Siria, il Califfo prova a consumare la sua battaglia fuori dal fronte, e lo dimostrano i continui appelli a colpire ovunque. Così Manchester si aggiunge alla lista degli attentati e ci invia nuovi messaggi. Il primo è che anche i nostri ragazzi – come quelli in Siria, Iraq o Yemen – non sono al sicuro.

Secondo messaggio, ancor più pericoloso, è creare una memoria collettiva tra i nostri ragazzi di una ferita violenta, simile ai loro coetanei in Medio Oriente, per far germogliare e nutrire anche qui la rivalità e lo scontro a discapito della convivenza e del rispetto reciproco.

Per questo, quello che ci aspetta nel futuro, è un lungo conflitto in casa che si consumerà con molte vittime se non si comprenderà la sua portata oltre che la sua radice. A ventiquattr’ore dalla visita di Trump in Arabia Saudita, con questo feroce attentato in Gran Bretagna, dove prospera indiscriminatamente l’ideologia salafita, in nome della più indecente miopia politica – non possiamo non chiederci se non sia giunta l’ora di affrontare il problema alla radice. Iniziando a denunciare senza sconti, oltre che contrastare sul campo, l’ideologia wahabita e salafita che proprio quello Stato promuove, e che è la stessa identica dello Stato islamico. Quante giovani menti siamo disposti a sacrificare, lasciandole in pasto al pensiero radicale salafita, in nome degli interessi economici? “l’Is – come ben spiegava lo scrittore algerino Kamel Daoud in un suo editoriale – è una cultura prima di essere una milizia”.

La domanda più urgente oggi è come vogliamo procedere per impedire che le generazioni future non scelgano il jihad se continuiamo a chiudere un occhio sulla proliferazione della sua ideologia che viaggia liberamente attraverso un’industria editoriale, e non solo, e dietro lo sguardo compiacente dell’Occidente?

Dietro a questo ultimo attentato a Manchester, c’è una sfida che ci bussa alla porta e che ci chiama a scegliere tra il bene e il male, lasciando da parte la realpolitik, perché al centro c’è soprattutto il nostro futuro e quello dei nostri giovani.


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