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Che cosa è successo davvero tra Hamas e Israele

hamas

Lunedì parlando da una sala dello Sheraton Hotel di Doha, in Qatar, il leader politico del gruppo combattente palestinese Hamas, ha aperto alla possibilità di uno Stato palestinese incluso nei confine del 1967 come “formula di consenso nazionale”. Pur non riconoscendo l’esistenza di Israele, contro cui rimane la lotta armata, Khaled Meshaal ha cambiato la linea tenuta fin dalla fondazione (nel 1987) dall’organizzazione politico/militare che dal 2007 governa la Striscia di Gaza. Hamas è un movimento che si rinnova, ma crede che Gerusalemme debba essere la capitale della Palestina, ha detto il leader che vive sotto protezione in Qatar.

IL DISTACCO DALLA FRATELLANZA

Ricordando di essere una organizzazione totalmente indipendente, e dunque tagliando almeno pubblicamente i legami con la Fratellanza musulmana, Meshaal ha sottolineato che la guerra di Hamas non è contro gli ebrei in quanto tali, ma contro il “Sionismo, considerato come l’occupazione israeliana di territori palestinesi”; una guerra politica, dice, non di religione. Rispetto alla Carta statutaria del 1988 (che viene solo aggiornata e non rottamata, e che parla di “distruggere” Israele), dove l’Ikhwan veniva citata per sei volte come bacino culturale di ispirazione e connessione, ora Hamas dice di identificarsi come un movimento di liberazione che usa l’Islam come componente ideologica principale. Parlando ad Al Jazeera (il media network qatarino è stato il primo a dare la notizia, ovviamente), Mohammad Abu Saada, professore dell’università al Ahzar di Gaza, ha spiegato che il documento politico presentato sembra un modo per rassicurare l’Egitto, soprattutto sulla sottolineatura che riguarda le distanze prese dalla Fratellanza, dichiarata entità terroristica dal Cairo nel 2013 (ma anche Arabia Saudita e Emirati Arabi la considerano tale, mentre il Qatar la finanzia). Hamas sta cercando di togliersi dall’isolamento internazionale in cui è finita dopo che Stati Uniti e Unione Europea l’hanno dichiarata entità terroristica.

TRUMP SPINGERÀ I NEGOZIATI

Il governo israeliano ha detto di non fidarsi del cambio di rotta di Hamas: David Keyes, un portavoce del primo ministro Benjamin Netanyahu, lo ha definito “un tentativo per ingannare il mondo”, dicendo che non è vero che il più combattivo dei gruppi palestinesi si sta spostando su posizioni moderate, in realtà tutto resta invariato — da poco il gruppo ha scelto Yehya Sinwar come leader a Gaza. Ma le dichiarazioni di Meshaal arrivano in un momento topico: il 3 maggio il leader dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas (capo di Fatah, fazione opposta ad Hamas che però è già sulla linea dei confini del 1967) sarà a Washington per incontrare in visita ufficiale il presidente americano Donald Trump. Ci si aspetta che in quell’occasione la Casa Bianca esca con una posizione più articolata del “basta che siate contenti” espresso a febbraio a proposito della risoluzione dell’annosa crisi israelo-palestinese. Del dossier se ne occupa come inviato speciale della West Wing il genero-in-chief Jared Kushner, ed è stato più volte citato come uno degli obiettivi di politica internazionale fissati da Trump. La spinta che l’America dichiara di voler imprimere ai colloqui potrebbe aver portato Hamas davanti alla necessità di mostrarsi aperta per essere inclusa ai tavoli negoziali. Il capo di stato americano sta anche pianificando una visita in Israele per la fine di maggio (forse il 22), quando ripartirà dal G-7 di Taormina.



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