Nel 2016 c’erano in Italia quasi 130.000 persone ridotte in schiavitù. Sono i dati del Global Slavery index. Sappiamo che spesso questi rapporti non sono precisi, piuttosto rappresentano delle stime. Ma anche se la cifra fosse ridotta di metà, sarebbe troppo. Sfortunatamente invece temo che i numeri siano sottostimati: il lavoro nero – specialmente in agricoltura, nel tessile, nelle costruzioni e nei servizi – che coinvolge italiani e stranieri, è in crescita costante ovunque nel paese. Ed è all’interno di tale oscuro universo che si nasconde una buona parte dei moderni schiavi d’Italia, a cui si aggiunge la prostituzione. Basta leggere Mafia caporale di Leonardo Palmisano per farsene un’idea.
Siamo abituati a credere che il lavoro nero, il sommerso o l’informale, siano una caratteristica benigna dell’Italia. Sarebbe l’effetto del carico fiscale a determinarlo. Verso la fine della Prima repubblica ci fu un governo che tentò addirittura di calcolarlo arbitrariamente, per aumentare il Pil. Tale narrazione – una vera fake news – è una forma di autoassoluzione, di deresponsabilizzazione nazionale. Surrettiziamente si aggiunge un’ipocrita distinzione tra economia sommersa e criminale. Si tratta di un’illusione, al punto che gli investimenti delle mafie si trovano anche nell’economia formale, quella ufficiale. Figuratevi nell’informale.
Al contrario il lavoro nero è una delle ragioni del mancato sviluppo italiano, soprattutto al sud ma non solo. E quasi sempre è nelle mani delle mafie stesse, che controllano le varie forme di caporalato, di somministrazione del lavoro. Gli ultimi fatti che riguardano il CARA di Capo Rizzuto lo dimostrano scandalosamente. Laddove c’è offerta di lavoro intervengono le mafie a controllare appalti e vincere gare con le minacce e la corruzione. Divengono così un protagonista della distribuzione dei posti di lavoro. Nel caso dei servizi offerti ai migranti si tratta di un fatto particolarmente grave perché significa fare affari sulla pelle dei più poveri. Ma accade anche in altri settori, come abbiamo visto per i supermercati Lidl e i servizi di sicurezza ai tribunali di Milano: le mafie divengono un attore del mercato del lavoro.
Occorre reagire fortemente. Finché avremo queste forme di controllo del lavoro e di offerta di lavoro nero, settori interi di economia che sfuggono alla legge, avremo bassi salari, pessime condizioni di lavoro, nessuna crescita. Il sommerso rappresenta un’antica tara italiana da cui liberarci con una vera e propria lotta, togliendo alle mafie e ai loro accoliti, il controllo della parte di ricchezza nazionale che oggi controllano senza limiti.
Il sommerso è anche un vero pull factor (altroché le Ong!) che attrae braccia di disperati. Se sai di poter trovare lavoro anche se irregolare, senza documenti e fuorilegge (del tipo lavoro minorile), accetti lo sfruttamento, almeno in un primo tempo. Tale è se non altro l’illusione di molti, che sanno di poter guadagnare qualcosa nelle campagne pugliesi o campane ma anche in altri settori a nord. Se non ci fosse lavoro nero, non esisterebbero quei luridi accampamenti da schiavi che punteggiano tante nostre regioni e creano allarme sociale. Ma in questo mondo di mezzo finiscono anche moltissimi italiani, aumentati con la crisi, che si trovano costretti ad accettare paghe da fame per non essere sostituiti. Così sorgono le guerre tra poveri, a tutto vantaggio di populisti e demagoghi.
Ormai la schiavitù riprende dovunque, modernizzata ma pur sempre schiavitù. Così come l’Isis vende ragazze yazide, i trafficanti libici vendono migranti. Non c’è molta differenza: il rispetto della vita umana è nullo in entrambi i casi. Ciò spiega perché queste persone vanno salvate quando scappano, in quanto vittime della tratta. Ma senza tuttavia rimandarle in una nuova “terra di mezzo”, dove diventare schiavi del lavoro nero.
Vi sono Ong e preti che “comprano” in Africa e Medio Oriente ragazzi e ragazze schiavi da trafficanti senza scrupoli, per liberarli da un destino crudele. A chi dice loro che così si fomenta il lurido commercio, rispondono: “dovevamo pur far qualcosa”. Per loro vale il detto del Talmud (e del Corano): “Chi salva una vita, salva il mondo intero”.
Anche Schindler “comprò i suoi ebrei”, rovinandosi. Questo non è pull factor. Ma il lavoro nero lo è, eccome, perché rappresenta una sotterranea rete malvagia di economia parallela e fuorilegge. Se vogliamo battere la povertà nazionale e al contempo risolvere il problema dei migranti, non possiamo lasciare zone scoperte, di “non diritto”: ne va della incolumità degli stessi italiani. Laddove c’è lavoro nero, è acclarato che siano coinvolti anche italiani, sfruttati e schiavizzati pure loro. Una lotta senza quartiere contro l’informale serve a battere le mafie, aumentare la qualità di vita degli italiani e salvare i migranti dallo sfruttamento. La legge è uguale per tutti perché è benefica per tutti.