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Come non funzionano le motovedette italiane della Guardia costiera libica

Dapprima il Viminale aveva detto che sarebbero arrivate a maggio, poi a giugno. Ma le famose motovedette che l’Italia aveva promesso di consegnare alla Libia con un accordo firmato il 2 febbraio a Roma in pompa magna dalle parti di Tripoli ancora non si vedono. O meglio, ad oggi ce ne sono 2, ma ancora non riescono a uscire in mare perché sono guaste. Intanto migliaia di migranti si imbarcano su gommoni fatiscenti con la speranza di essere soccorsi da qualche nave di un Ong al largo delle 12 miglia. Dopo che Riccardo Chartroux, l’inviato del Tg3 che ha passato una settimana a Tripoli, ci aveva spiegato il quadro della guardia costiera libica, sorte una domanda: che ne è stato dell’accordo fra Paolo Gentiloni e Fayez al-Serraj?

Il 2 febbraio il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni salutava l’accordo con il governo di Riconciliazione Nazionale libico come “una svolta”. Come ha ricordato Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, il patto prevedeva, oltre a un ingente stanziamento di fondi pari a 800 milioni di euro, un po’ finanziato da Bruxelles (200 milioni), un po’ dal “Fondo per l’Africa”, la donazione di 10 navi da soccorso, 10 motovedette, 24 gommoni, 10 ambulanze, 30 jeep, 15 automobili e diversi altri equipaggiamenti. La Marina italiana poi si impegnava ad addestrare l’equipaggio della guardia costiera libica sulla penisola per rimandarli indietro con competenze e mezzi in più. Il 15 febbraio il ministro dell’Interno Marco Minniti dichiarava che le 10 motovedette erano pronte per essere riconsegnate alla Libia. Le imbarcazioni erano state infatti già donate dall’Italia di Silvio Berlusconi a Muhammar Gheddafi nel 2011. Danneggiate con la guerra, erano state rimandate indietro nel 2012 per essere aggiustate nei cantieri italiani.

A marzo l’ammiraglio Enrico Credendino, a capo della missione Eunavfor Med, garantiva in un’intervista sul Quotidiano Nazionale che ben 93 uomini della guardia costiera libica avevano completato l’addestramento in Italia. Di questi ad oggi non si è ancora avuto notizia a Tripoli. Fino all’altro giorno si trovavano in un hotel del centro di Roma: tra loro, secondo fonti dei militari di Tripoli, c’è anche Abduhraman Al Milad, meglio conosciuto come Bija, il comandante della guardia del porto di Zawiya accusato da un’inchiesta di Nancy Porcia per TRT World di essere colluso nel traffico di vite umane.

Ma a smentire l’efficienza dell’accordo parlano i numeri. I dati del Viminale dicono che da gennaio a maggio ci sono stati più di 37mila sbarchi, con un aumento del 32,61% rispetto allo stesso periodo nel 2016. Poi parla chiaro la situazione del porto di Tripoli, dove Chartroux è stato la settimana scorsa. Secondo il cronista del Tg3, solo due delle famose motovedette, la Ras al Jadar e la Sabratha, sono ormeggiate in porto, ferme: “Secondo la guardia costiera stanno attraversando una serie di passaggi burocratici per essere messe in servizio, ma secondo gli equipaggi in realtà quando le hanno riprese in Italia avevano gli stessi malfunzionamenti di quando sono arrivate”.

I militari libici hanno raccontato al giornalista del Tg3 del loro viaggio in Italia per riprendere le motovedette: un’epopea che ha del grottesco. Dopo due settimane in albergo a Gaeta aspettando la firma del contratto, non appena hanno preso il mare con i nuovi mezzi il motore ha smesso di funzionare. Da lì una tappa obbligata nel porto di Messina per cinque giorni di riparazioni. Poiché i libici avevano un permesso di soggiorno di quindici giorni che era ormai scaduto, hanno dovuto affrontare la trafila dei controlli, con tanto di impronte digitali, che spettano da legge agli immigrati clandestini: insomma, oltre al danno la beffa. Ripartite da Messina le due vecchie imbarcazioni hanno mostrato nuovi problemi ai flap e al motore e oggi sono ferme. Altre due motovedette dovrebbero essere in arrivo in questi giorni. Fatto sta che le partenze clandestine da Sabratha continuano senza sosta e il business dei migranti rimane soggetto all’anarchia delle bande armate che controllano i porti libici.

Il comandante della guardia costiera Ashraf al-Badri solo il 19 aprile raccontava a Chartroux della mancanza dei mezzi: su una barca appena recuperata “c’erano 168 africani, imbarcava acqua. Dei pescatori ci hanno avvertito, a due miglia c’è un’altra barca, ma noi avevamo un solo gommone, abbiamo dovuto scegliere: questi li abbiamo salvati, gli altri probabilmente sono annegati”.



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