La Corea del Nord ha effettuato il test di un altro missile balistico, stavolta a corto raggio, lanciato nella mattinata di lunedì (ora locale). Il vettore, probabilmente Scud-type (di derivazione sovietica), è partito da Wonsan e ha volato per 450 km prima di inabissarsi lungo le acque orientali che bagnano la penisola coreana.
POST-G7
Tokyo ha inizialmente dichiarato che si era inabissato nell’EEZ (acronimo di zona economica esclusiva) giapponese, e il premier Shinzo Abe ha colto subito l’occasione per ampliare la contestualizzazione dell’accaduto: “Come abbiamo concordato al recente G7, la Corea del Nord è una priorità per la Comunità internazionale”, ha detto a caldo. (Nota: ancora una volta uno di questi test, anche provocatori, coincide con eventi internazionali; stavolta il G7 appena concluso, il 21 maggio per esempio, la presentazione del programma strategico commerciale cinese OBOR, il 14 le lezioni sudcoreane).
RITMI SETTIMANALI
Si tratta del terzo test missilistico dal 10 maggio – ossia da quando è stato eletto il nuovo presidente sudcoreano Moon Jae-in, considerato un possibilista sul riavvio di colloqui e negoziati diretti con il Nord. Una cadenza settimanale: è il dodicesimo missile sparato dall’inizio del 2017 (nel 2016, data oggi, furono 9, nel 2015 13, nel 2014 8), in cui sono stati già eseguiti nove test.
IL BASTONE AMERICANO…
Tutto questo coincide con la fase più arcigna della postura americana nei confronti di Pyongyang. Washington ha da qualche mese avviato una guerra psicologica che va dalle minacce militari all’offerta di aperture in cambio della rinuncia del programma nucleare. L’amministrazione Trump ha prima schierato una serie di misure navali, aeree e missilistiche, contro il Nord, minacciando apertamente di poterle usare in qualsiasi momento.
… POI LA CAROTA…
Poi, complice un gioco di sponda per coinvolgere Pechino e testarlo come partner, intanto operativo su una faccenda stringente (e indiscutibilmente preoccupante) come l’arma atomica in mano al regime nordcoreano, ha cambiato linea e mostrato il lato morbido. Le armi sono diventate diplomatiche, dalla diplomazia dura delle sanzioni a quella possibilista dell’artista del deal Donald Trump, che ha evocato anche la possibilità di un incontro “alle giuste condizioni”.
… E ANCORA IL BASTONE
Che per il momento mancano, e dunque s’è tornati sulla via militare. In questi giorni è uscita la notizia sul prossimo schieramento della portaerei “USS Nimitz”, e del suo gruppo da battaglia composto da altre 11 navi, nelle acque del Pacifico (con un giro in Medio Oriente, ma fonti di VoA dicono che l’obiettivo è spaventare Kim). È la prima missione della Nimitz dal 2013 (quando la nave è stato sottoposta a un programma di revisione). Si tratta del terzo dei gruppi da battaglia che gli americani hanno spostato, avvicinato, alla penisola coreana, dopo quello della “USS Vinson” e della “USS Ronald Reagan” (le cui navi parteciperanno nei prossimi giorni a un’esercitazione congiunta nelle acque del Mar del Giappone).
E INTANTO SI TESTANO LE DIFESE
Martedì gli Stati Uniti testeranno la possibilità di utilizzare un sistema missilistico esistente per intercettare nello spazio i vettori balistici, come quelli lanciati dalla Corea del Nord. La simulazione servirà a capire le capacità difensive americane, e dovrebbe essere anche un altro elemento a fare da deterrente per Kim, secondo l’idea del Pentagono. Ma apparentemente l’annuncio pubblico è sembrato non funzionare – oppure la satrapia ha lanciato il nuovo test proprio per non apparire intimidita da questo secondo rush militarista americano (è d’altronde su un’idea di forza che il potere di Kim fa presa e controllo sulla popolazione).
PERCHÉ KIM NON HA (E FA) PAURA
Il segretario alla Difesa Jim Mattis, intervenendo “Face The Nation” della CBS, ha però spiegato apertamente l’altro lato di questa deterrenza, quello nordcoreano. Il Nord ha “centinaia” di bocche di fuoco di artiglieria “nel raggio di una delle città più densamente popolate della Terra, la capitale della Corea del Sud”. I movimenti militari americani fanno anche i conti con certe simulazioni: se gli Stati Uniti dovessero attaccare il Nord con un pre-emptive attack, dovrebbero contemporaneamente disarticolare in brevissimo tempo la linea di artiglieria che Kim ha piazzato sul 38° parallelo, per evitare la devastante rappresaglia di Kim su Seul. Anche per questo, diversi esperti hanno fatto notare che Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone, non hanno mai alzato “red lines” che potrebbero far scattare un’azione militare contro Pyongyang. (Colore: il giornalista della CBS ha chiesto a Mattis quale fossero i pensieri che lo tenevano sveglio di notte, il capo del Pentagono ha risposto “nessuno, sono io che tengo sveglio gli altri”).
(Foto: immagini propagandistiche nordcoreane, Kim durante un’esercitazione anti-aerea)