Vista la lettera di don Lorenzo sul licenziamento di un operaio della Pirelli pubblicata ieri, un’amica e collega mi chiede: “Secondo te, a mezzo secolo di distanza lui che cosa direbbe nel giorno della Festa del Lavoro?”.
Non ho alcun titolo per interpretare il pensiero del priore di Barbiana, né tanto meno per aggiornarlo. Pur con tutta la prudenza dovuta, però, una mia ideuzza al riguardo vorrei proporla. Penso che don Milani avrebbe preferito molto che la Festa del Lavoro si celebrasse non facendolo sparire, il lavoro, ma riappropriandosene e rendendolo più visibile, magari regalandolo alla cittadinanza, soprattutto a chi ne ha più bisogno.
Nulla impedirebbe, per esempio, che nel primo giorno di maggio i conducenti dei mezzi pubblici festeggiassero il proprio lavoro regalandolo alla cittadinanza: circolazione gratuita per tutto il giorno. Che i dipendenti di un’impresa del settore alimentare lo festeggiassero donandone il frutto a un campo profughi. Che quel giorno i vigili urbani stupissero tutti presidiando piazze, giardini, monumenti e palazzi pubblici fino a tarda notte. Che le aziende più avanzate si aprissero per consentire a tutti di vedere da vicino i miracoli delle nuove tecnologie. Ma soprattutto che gli insegnanti celebrassero la Festa del Lavoro come faceva lui: invece che “facendo il ponte” ciascuno per conto proprio e per il proprio tornaconto, dedicando la giornata a ragionare con i propri studenti su come funziona il mercato del lavoro.
Insomma, per attingere direttamente al lessico milaniano: che non si facesse della Festa del Lavoro la festa dell’avarizia di chi il lavoro ce l’ha e del “gli altri si arrangino”.
(Questo articolo è stato tratto dal sito di Pietro Ichino: www.pietroichino.it)