Il messaggio che passa è licenziamenti più facili, meno precariato, premi al merito e una pubblica amministrazione più efficiente. La realtà è che la riforma consegna le chiavi della Pubblica amministrazione ai sindacati, deresponsabilizza i dirigenti e renderà sempre più difficile cambiare qualcosa nella macchina amministrativa dello Stato. Venerdì scorso il consiglio dei ministri ha approvato gli ultimi decreti legislativi che attuano il pacchetto di norme del ministro Marianna Madia e la riforma si conferma un regalo elettorale. Figlia di due voti, il referendum costituzionale (sul governo Renzi) e le prossime elezioni politiche.
Il dato di fondo è un rafforzamento della contrattazione, che nel caso del pubblico impiego non è un bene, come spiega Francesco Verbaro, ex segretario generale del ministero del Lavoro e direttore generale del pubblico impiego, oggi manager privato: “Si prova a ridare fiducia alla contrattazione collettiva in un contesto, quello del pubblico impiego, in cui la contrattazione non ha dato prova di efficienza ed efficacia come accade nel privato”.
In sintesi, se con la riforma di Renato Brunetta sindacati e Stato potevano decidere nelle trattative solo sulle materie che la legge gli riservava, con il pacchetto Madia le parti potranno decidere su tutto, tranne che sulle materie espressamente escluse dalla legge. Più potere, magari per compensare aumenti di contratto non entusiasmanti. Senza contare che i sindacati nel pubblico hanno già un potere enorme e la controparte, tra burocrazia e condizionamenti politici, ha difficoltà a comportarsi da vero datore di lavoro.
Le differenze pubblico/privato restano intatte sui licenziamenti. Nessun recepimento delle modifiche all’articolo 18 varate dagli ultimi due governi. Per gli statali restano le vecchie tutele e la riforma Madia lo specifica.
Eccessivi gli entusiasmi per la bocciatura per tre anni di seguito che porta al licenziamento. “Sono casi rarissimi”, spiega ancora Verbaro. Senza contare che i dirigenti non hanno poteri in più e con la prospettiva di un contenzioso aspro, difficilmente decideranno di licenziare.
La riforma Madia smonta il sistema di Brunetta che riconosceva i premi di risultato solo al 25% degli statali, quelli meritevoli. La valutazione avverrà a livello di uffici e a farla saranno organismi esterni. Il datore di lavoro, lo Stato e i dirigenti, viene deresponsabilizzato.
Altro cardine della riforma Madia è la stabilizzazione dei precari. Rispetto al primo passaggio al Consiglio dei ministri in marzo, le maglie della regolarizzazione si sono allargate. Potranno essere stabilizzati coloro che abbiano lavorato almeno tre anni negli ultimi otto, anche in diverse amministrazioni pubbliche, e che abbiano maturato requisiti fino al 31 dicembre di quest’anno. “Di fatto si pregiudicano le assunzioni nei prossimi anni”, spiega Verbaro, “destinandole al personale già reclutato nel passato, che magari ha profili non aggiornati. Non si ragiona su competenze nuove”. Un ritorno al passato in tutti i sensi.
(Articolo pubblicato sul Giornale e consultabile a questo link)