Tornato sulla tolda di comando del Partito democratico, non poche sono le insidie sul cammino di Matteo Renzi da qui alle prossime elezioni politiche. Voto che il segretario del Pd vorrebbe in autunno, ma che probabilmente arriverà a scadenza naturale di legislatura. Diversi sono i personaggi che, in un modo o nell’altro, cercheranno di mettergli i bastoni tra le ruote e rendergli la vita difficile, offuscandone l’immagine e determinandone le scelte politiche. Ecco i principali.
Giuliano Pisapia
Ancora non è dato sapere, soprattutto per l’incognita legge elettorale, se il suo Campo progressista sarà una forza che si presenterà alleata del Pd o se sarà elemento di una lista comune insieme ad Articolo 1 e Sinistra Italiana. Ciò detto, Renzi scruta le mosse dell’ex sindaco di Milano. Quando sarà ufficialmente in campo, è più probabile che una piccola fetta degli attuali voti del Pd si sposti su di lui, che non sulla nuova formazione di Bersani e Speranza. Per questo motivo al segretario dem conviene tenersi buono l’amico Giuliano con cui, al momento, i rapporti sono migliori che con Beppe Sala.
Beppe Sala
Con il successore di Pisapia, invece, è gelo profondo. Il sindaco di Milano dal 4 dicembre in avanti ha messo in moto un progressivo sganciamento dall’ex rottamatore, col quale fino ad allora era andato a braccetto, culminato con la decisione di non schierarsi alle primarie Pd. Fatto che ha provocato l’ira funesta del neo segretario, che ormai considera il sindaco di Milano un avversario e, forse, anche un futuro competitor. Le dichiarazioni di Sala sul caso nuovo caso Boschi – “meglio chiarire e non lasciare questa chiacchiera in giro” – hanno peggiorato vieppiù la situazione. La rottura con Sala priva Renzi di un suo punto di forza: il legame con Milano, che l’ex premier considera l’unica città italiana da porsi come modello europeo e da portare come fiore all’occhiello del progresso del Paese. E infatti ci va ogni volta che può, mentre il disastro di Roma viene utilizzato in funzione anti-grillina. Non è un caso che si sia scelto un numero 2 milanese d’adozione: Maurizio Martina. Per tutti questi motivi il “tradimento” di Sala è stato molto mal vissuto ai piani alti del Nazareno.
Carlo Calenda
Da quando è diventato ministro, Calenda non perde occasione per rifilare una staffilata all’ex premier o alle politiche del precedente governo. Come l’attacco ai bonus “che non servono a far ripartire il Paese”. O come le bacchettate sul referendum: “Non si doveva arrivare a quel punto e mettersi in quelle condizioni”. O le diverse vedute su Alitalia, col ministro contrario a ipotesi di salvataggi o nazionalizzazione della compagnia di bandiera sull’orlo del fallimento. E poi quelle voci che lo vogliono un giorno premier di una Grosse Koalition, un altro futuro leader di Forza Italia, un altro ancora candidato premier di una coalizione di centrodestra de-salvinizzata (l’ultimo a lanciarlo è stato Pierferdinando Casini). Calenda è indicato da molti osservatori come un argine al renzismo debordante, in economia e non solo.
Dario Franceschini
Il ministro dei Beni Culturali, lacustre e retrattile come si conviene a chi è cresciuto alla scuola democristiana delle piatte terre ferraresi, potrebbe riservare amare sorprese per Renzi. Finora Franceschini è stato un alleato fedele, capace di tenere a freno la sua cospicua truppa parlamentare che più di una volta ha scalpitato contro il rottamatore fiorentino. L’importante, per lui, è mantenere saldi gli uomini e le donne giuste nei posti giusti ed essere sempre consultato sulle decisioni importanti. Ora, però, con l’esclusione di molti dei suoi dall’assemblea nazionale e dalla direzione del partito, il vento potrebbe cambiare. Franceschini non è ancora un nemico di Renzi, ma potrebbe diventarlo. Le ultime virate, infatti, fanno pensare a un Renzi che si sia messo in testa di governare il Pd non “con Franceschini”, ma “nonostante Franceschini”. La guerra non è ancora dichiarata apertamente e tutto avviene sottotraccia, con sussurri e malumori tra gli scranni delle aule parlamentari. Ma sta di fatto che l’intervista in cui il ministro ha lanciato un appello a Berlusconi per un asse Pd-Fi sulla legge elettorale ha sorpreso tutti, a partire da Renzi. “E’ stata una dichiarazione d’indipendenza di Franceschini, ha battuto un colpo per segnare la sua autonomia”, racconta un deputato fedele al ministro. Il cospicuo numero delle truppe di Franceschini in Parlamento – a partire dal capogruppo alla Camera Ettore Rosato – e il suo filo diretto con Sergio Mattarella, consigliano a Renzi molta prudenza. Avere Franceschini contro, con tutte le grane già in campo, non è un buon affare.
Il fuoco amico
Al di là di nemici e competitor interni, il pericolo maggiore per il segretario del Pd, come si è visto in questi giorni, è il fuoco amico proveniente dai fedelissimi. Dopo il caso Consip che ha coinvolto il ministro dello Sport Luca Lotti, la riesplosione del caso Banca Etruria con Maria Elena Boschi tornata nel mirino è, agli occhi dei Renzi, molto grave. Tanto che anche lui, in conversazioni riservate, usa il caso Banca Etruria per dire che una questione è il punto debole di qualcuno. “Virginia Raggi è ‘la Banca Etruria’ di Beppe Grillo”, gli ha sentito dire più di un collaboratore. La questione è ancora più grave perché Boschi, dopo la disfatta del 4 dicembre, aveva passato tutti questi mesi a cercare di rifarsi una verginità politica, nel suo ruolo di sottosegretaria alla presidenza del Consiglio. Il caso “Etruria-de Bortoli” riporta indietro le lancette dell’orologio politico di Maria Elena e riaccende sul sistema di potere di Renzi una luce sinistra. Quanto poi questo conti nelle urne è tutto da dimostrare, ma di sicuro conterà nella dialettica della campagna elettorale. Che si annuncia di fuoco.